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IL LOMBRICO

LA DONNA SI ERA APPENA SEDUTA DI FIANCO A ME E AVEVA CHIESTO DA BERE.
SUL MOMENTO CONTINUAI A SORSEGGIARE IL MIO BOCCALE DI BIRRA, OSTENTANDO DISINTERESSE; TUTTAVIA NON RIUSCII A RESISTERE A LUNGO ALLA TENTAZIONE E GETTAI NELLA SUA DIREZIONE UNO SGUARDO DISCRETO, CON LA CODA DELL’OCCHIO: NOTAI ALLORA CHE LA DONNA INDOSSAVA UN VESTITO NERO E LUNGO, CON UNA SCOLLATURA MODESTA ED ELEGANTE; I SUOI CAPELLI BIONDI ERANO RACCOLTI DIETRO LA TESTA IN UNA FOGGIA AL LIMITE DEL DEMODÉ; PERSINO IL VOLTO POSSEDEVA UNA QUALCHE QUALITÀ ANTICA, QUASI FOSSE PROIETTATO IN FILIGRANA ATTRAVERSO LA PELLICOLA DI UN VECCHIO FILM; E I SUOI LINEAMENTI DELICATI PAREVANO INFATTI PROVENIRE DA UN TEMPO DIVERSO, UN TEMPO PIÙ REMOTO E GENTILE.
AD UN TRATTO VIDI CHE UN UOMO SI ERA SEDUTO ACCANTO A LEI, APPOGGIANDO IL GOMITO AL BANCONE E FISSANDOLA CON UN SORRISO SPAVALDO.
MA LEI CONTINUAVA A GUARDARE AVANTI, SENZA DEGNARLO DELLA MINIMA ATTENZIONE.
“BARISTA, COME MAI IL BICCHIERE DI QUESTA BELLISSIMA SIGNORINA È VUOTO?” ESCLAMÒ L’UOMO SBATTENDO UN PEZZO DA DIECI SUL BANCONE, “PER UN CRIMINE DEL GENERE CI VORREBBE LA PENA DI MORTE!”
LEI SOSPIRÒ: “NON CREDE SIA UNA STRATEGIA ORMAI INFLAZIONATA, QUESTA?”
“NIENTE AFFATTO, SIGNORINA: QUESTA È SOLO LA MOSSA INIZIALE. NEL TEMPO IN CUI LEI FINIRÀ QUEL PIGNOLETTO, IO L’AVRÒ CONVINTA A VENIRE A CASA CON ME, VUOLE SCOMMETTERE?”
LA DONNA SI VOLTÒ VERSO DI LUI CON ARIA DI SFIDA, MENTRE IL BARISTA LE RABBOCCAVA IL CALICE.
NON APPENA FU COLMO LO SOLLEVÒ E LO MANDO GIÙ TUTTO D’UN FIATO, SOTTO LO SGUARDO ALLIBITO DELL’UOMO.
“QUINDI?” DOMANDÒ LEI IN TONO CANZONATORIO.
L’UOMO ALZÒ LE MANI: “STAVO SOLO CERCANDO DI ESSERE CORDIALE. LA LASCIO IN PACE, CI MANCHEREBBE…”
NON APPENA SI FU ALLONTANATO, MI LASCIAI SFUGGIRE UNA RISATA SOMMESSA.
“UNA STRATEGIA INFLAZIONATA, IN EFFETTI…”
“BE’, ALMENO QUEL TIPO CI HA PROVATO, A DIFFERENZA DI LEI, CHE SE NE STA LÌ IMBALSAMATO…”
“AHAHAH… MA NO, SIGNORINA… È SOLO CHE MI PARE SUPERFLUO AGGIUNGERMI ALLE GIÀ NUTRITE SCHIERE DI UOMINI CHE LA APPROCCIANO OGNI SERA.”
“OOOH… SOTTILE… ECCO, QUESTA È LA STRATEGIA CHE MI PIACE.”
ABBASSAI LO SGUARDO SUL MIO BOCCALE, CON UN SORRISO.
“NON CREDO DI ESSERE LO STRATEGA CHE STA CERCANDO.”
“NO? E SE LE DICESSI CHE LA CONOSCO?”
DIEDI UNA SCROLLATA DI SPALLE: “QUESTO È ANCHE POSSIBILE, NON MI SORPRENDEREBBE PIÙ DI TANTO.”
LEI ACCAVALLÒ LE GAMBE, SISTEMANDOSI IL VESTITO.
“CARO IL MIO FABIO DELLA RAI, SEMPRE DEFILATO EPPURE SEMPRE AL CENTRO DEI RIFLETTORI. SAI CHE SE MI OFFRISSI QUALCOSA, PER TE LA FINIREI MOLTO… MA MOLTO LENTAMENTE?”
MI VOLTAI VERSO LA DONNA, CHE ORA MI STAVA SQUADRANDO CON UN SORRISO FRA L’ENIGMATICO ED IL MALIZIOSO: “AH, SÌ?”
“SÌ, MA SO CHE NON LO FARAI…”
“PARE CHE TU SAPPIA MOLTE COSE SU DI ME.”
“NON LO FARAI PER VIA DI QUEL DUBBIO… UN DUBBIO CHE HAI SEMPRE AVUTO E CHE VIENE DALLE TUE PAURE E DALLE TUE ANGOSCE PIÙ PROFONDE… E CHE RIGUARDA UN CERTO CONDUTTORE DI STRISCIA, NON È VERO?”
“PUOI FORSE BIASIMARMI?”
“NO, MA POSSO METTERTI L’ANIMA IN PACE, FABIO: RICORDI FORSE COME SEI ARRIVATO QUI, IN QUESTO BAR?”
“MA CHE DISCORSI… CERTO CHE-”
MI BLOCCAI.
SONDANDO VELOCE LA MEMORIA RECENTE MI RESI CONTO DI NON POSSEDERE AFFATTO QUELLA INFORMAZIONE. ANZI, PIÙ MI SFORZAVO PIÙ AVVERTIVO LA SENSAZIONE FRUSTRANTE CHE CI FOSSERO DEI PEZZI, SVARIATI PEZZI MANCANTI DELLE MIE ULTIME ORE, FORSE ANCHE DEI MIEI ULTIMI GIORNI.
“QUAL È L’ULTIMA COSA CHE RICORDI, FABIO?”
MI ACCAREZZAI IL MENTO, CON UN DISAGIO CRESCENTE.
“SONO… ANDATO A DORMIRE… C’ERA UN VENTO FORTE FUORI, CHE SCUOTEVA LE FRONDE DEGLI ALBERI… HO SENTITO UNO SCRICCHIOLÌO DAL PIANO DI SOTTO, E SONO SCESO A CONTROLLARE… E POI…”
“BASTA COSÌ, FABIO, NON C’È BISOGNO DI ANDARE AVANTI… È SUFFICIENTE CHE TU SAPPIA CHE IO NON SONO EZIO… NON POSSO ESSERE EZIO PERCHÉ TU GIÀ SEI DENTRO DI LUI…”
“COSA? AHAHAHAH, MOLTO DIVERTENTE, CHI TI HA MESSA IN MEZZO PER QUESTA BUFFONATA? PIERGIORGIO? AHAHAH, DÌ PURE A QUEL BRIGANTE CHE STAVOLTA ME L’HA QUASI FATTA!”
LA DONNA PERÒ NON RIDEVA: ORA MI FISSAVA CON UN’ESPRESSIONE CALMA E SERIA, FORSE CON UNA PUNTA DI COMPASSIONE.
IL BOCCALE DI BIRRA MI SCIVOLÒ FRA LE DITA, FRANTUMANDOSI SUL PAVIMENTO; IO MI SENTII MANCARE, E MI AGGRAPPAI AL BANCONE PER RIMANERE IN PIEDI.
GUARDANDOMI INTORNO, VIDI CHE GLI AVVENTORI DEL LOCALE PAREVANO NON ESSERSI ACCORTI DI NULLA: RIMANEVANO AL LORO POSTO, COI LORO SORRISI QUASI CATATONICI, IMPERTURBABILI, ANCHE LORO DIETRO QUELLA FILIGRANA… NESSUNO SI MUOVEVA PER RACCOGLIERE I VETRI, NESSUNO ALLUNGAVA UNA MANO PER AIUTARMI.
“POCO ALLA VOLTA REALIZZERAI CHE TI STO DICENDO LA VERITÀ,” PROSEGUÌ LA DONNA.
TENTAI DI DOMINARE IL SENSO DI SOFFOCAMENTO CHE PROVAVO IN QUELL’ISTANTE, E MI RIMISI IN PIEDI.
“SE SONO DENTRO EZIO, QUESTO POSTO COS’È? E TU CHI SEI?”
“QUI È DOVE LA TUA MENTE HA DECISO DI RIMANERE, PER IL MOMENTO, MENTRE IL TUO CORPO PRIVO DI COSCIENZA VIENE TRASPORTATO ATTRAVERSO LE VIE GENITALI DI EZIO, CULLATO DALLA PERISTALSI, NEL CALORE DELLE SUE TUBE. QUI È DOVE HAI CONOSCIUTO ME… MA CI SONO ALTRE STANZE, VUOI VEDERLE?”
ANNUII, E LA SEGUII VERSO L’USCITA: ALL’ESTERNO NON VI ERA ALCUN AMBIENTE FISICO, SOLTANTO UN CORRIDOIO PIENO DI PORTE CHIUSE.
“QUESTO CORRIDOIO NON HA PARETI,” MORMORAI.
“CE LE HA: LE PARETI SONO IL BUIO DEL TUO SUBCONSCIO, E I LAMPI CHE VEDI NEL BUIO SONO I LAMPI DELLE TUE SINAPSI, I CUI IMPULSI EZIO HA INCANALATO VERSO QUESTO LUOGO.”
“E LE PORTE?”
LA DONNA RISPOSE CON UN CENNO DEL CAPO.
“PERCHÉ NON LO SCOPRI TU STESSO?”
MI VOLTAI VERSO LA PORTA ALLA MIA SINISTRA: ERA UNA PICCOLA PORTA DI LEGNO, CON UN POMELLO DI RAME.
LA APRII.
AL DI LÀ DELLA SOGLIA VI ERA UN CAMPO, UNA DISTESA DI ERBA SELVATICA ILLUMINATA DALLA LUNA, E LÀ DOVE IL TERRENO PIEGAVA DOLCEMENTE VERSO IL BASSO SI INTRAVEDEVANO TRE RAGAZZINI, SEDUTI CONTRO IL TRONCO DI UNA QUERCIA.
ENTRAI, E PROVAI AD AVVICINARMI A LORO, ARRANCANDO FRA LE STERPAGLIE.
MA I RAGAZZINI SI ALZARONO E SI DILEGUARONO NEL BUIO, PROBABILMENTE ALLERTATI DELLA MIA PRESENZA.
“CHI SONO QUELLI?” CHIESE LA DONNA.
“IO, PIERGIORGIO E GIANMAURO, PARECCHI ANNI FA…”
“BE’… SÌ E NO FABIO. SONO LORO, È VERO, MA IN QUESTO POSTO IL CONCETTO DI PASSATO NON HA MOTIVO DI ESSERE.”
“NON HO I VESTITI GIUSTI,” BORBOTTAI SECCATO GUARDANDO IN BASSO, VERSO LE MIE SCARPE ELEGANTI.
“NON È UN PROBLEMA.”
LA DONNA PASSÒ UNA MANO DAVANTI AI MIEI OCCHI.
UN ISTANTE DOPO ERO LÌ, SOTTO LA QUERCIA, COI PANTALONI CORTI E LE SCARPE DA GINNASTICA, E PIERGIORGIO E GIANMAURO ERANO SEDUTI AL MIO FIANCO.
SENTIVO I GRILLI CANTARE NELL’OSCURITÀ, E UN POTENTE ODORE DI CORTECCIA CHE MI RIEMPIVA LE NARICI.
“HAI VISTO LE ALTRE PORTE?” CHIESE PIERGIORGIO, “PUOI VISITARE TUTTE QUELLE CHE VUOI. LA MAGGIOR PARTE SONO COME QUESTA, MA ALCUNE POTREBBERO FARE MALE. EZIO HA PENSATO CHE AVESSI BISOGNO ANCHE DI QUELLE.”
ANNUII, RESPIRANDO FORTE L’ARIA DELLA SERA.
“CHE SENSO HA CHE CE NE SIANO COSÌ TANTE? NON AVRÒ COMUNQUE MODO DI ESPLORARLE TUTTE: QUANDO EZIO AVRÀ FINITO DI CONSUMARMI LA MIA COSCIENZA NON ESISTERÀ PIÙ E QUESTO POSTO CESSERÀ DI ESISTERE.”
PIERGIORGIO SI MISE A SCUOTERE LA TESTA, MORDICCHIANDO FRA I DENTI UNO STELO DI GRANO.
“FABIO, FABIO, TU SEI FIGLIO DEL TUO TEMPO E NON TI POSSO RIMPROVERARE PER QUESTO… QUI NON SI TRATTA DEL BENE CONTRO IL MALE, MA DI SIMBIOSI… EZIO NON VUOLE ANNIENTARTI… HA BISOGNO DI TE, COSÌ COME TU HAI BISOGNO DI LUI.”
“COSA INTENDI DIRE?”
“EZIO HA BISOGNO DI TENERE VIVI I TUOI RICORDI, PER POTERSI ALIMENTARE, E TU HAI BISOGNO DI LUI PER POTER VIVERE PER SEMPRE IN QUEI RICORDI E IN QUEI RIMPIANTI.”
MI ALZAI IN PIEDI E GUARDAI IN ALTO, VERSO IL CIELO TEMPESTATO DI STELLE, CHE PAREVA TANTO VICINO DA SEMBRARE IRREALE.
“MA È COMUNQUE UNA FINZIONE. POSSO ACCETTARE CHE EZIO MI ABBIA FINALMENTE SCONFITTO, MA NON VOGLIO ACCETTARE CHE QUESTO SOSTITUISCA LA MIA REALTÀ.”
“NEPPURE QUELLA LÀ FUORI È LA REALTÀ, FABIO. ERA SOLO UN MODO DIVERSO DI INTERPRETARE GLI STIMOLI COGNITIVI. ANCHE LÀ FUORI ERI DENTRO L’INTESTINO DI QUALCHE CREATURA COSMICA CHE CONTROLLAVA IL TUO PENSIERO, CHE SI NUTRIVA DEI TUOI RIMPIANTI, E CHE LO FACEVA IN UN MODO BEN PIÙ CRUDELE. ALMENO QUI SEI DENTRO UNA CREATURA CHE TI HA SEMPRE RISPETTATO, FORSE PERSINO VOLUTO BENE…”
“LÀ FUORI CI SONO I MIEI AMICI, PIERGIORGIO, CI SONO LE PERSONE CHE AMO, CI SIETE VOI…”
PIERGIORGIO SI AVVICINÒ E MI MISE UNA MANO SULLA SPALLA.
“E ANCHE QUI CI SIAMO NOI, MA SENZA LA FORZA CORRUTTRICE DEL TEMPO, SENZA I SENTIERI CHE SI SEPARANO, SENZA GLI INTERESSI E I CONTRASTI…”
“PROPRIO PER QUESTO NON È REALE.”
“E INVECE TI SBAGLI: PROVI DEI SENTIMENTI DI LEALTÀ VERSO UN MONDO CHE NON È PIÙ REALE DI QUESTO; L’UNICA DIFFERENZA È CHE QUELLO INVECCHIERÀ E SI DISSOLVERÀ, MENTRE QUESTO ESISTERÀ PER SEMPRE.”
STRINSI I PUGNI DALLA RABBIA E MI VOLTAI VERSO PIERGIORGIO: VEDERLO DI NUOVO RAGAZZINO, IN PIEDI IN QUEL CAMPO, MI FERMÒ PER UN ATTIMO LE PAROLE IN GOLA.
“PERCHÉ STAI CERCANDO DI CONVINCERMI? SE SONO GIÀ DENTRO, GIÀ ASSORBITO, COSA CAMBIA PER EZIO CHE IO ACCETTI O MENO QUESTO POSTO, QUESTA… ILLUSIONE… CHE HA CREATO PER TENERMI OCCUPATO… MENTRE METABOLIZZA I MIEI RICORDI CON IL SUCCO VELENOSO DELLE SUE MUCOSE? PERCHÉ, PIERGIORGIO?”
“NON HAI CAPITO: NON È EZIO CHE TE LO STA CHIEDENDO. SEI TU STESSO CHE TI STAI SFORZANDO DI ACCETTARLO.”
IN QUEL MOMENTO SENTII UN TREMOLÌO NEL TERRENO, E POI UN ALTRO, COME DELLE SCOSSE DI TERREMOTO IN SUCCESSIONE.
GUARDAI IN ALTO: NEL CIELO NOTTURNO SI ERA APERTA UNA FESSURA DI LUCE, UNO SQUARCIO CHE SI STAVA PROGRESSIVAMENTE DILATANDO.
E QUANDO FU ABBASTANZA GRANDE, ATTRAVERSO LO SQUARCIO FINALMENTE RIUSCII A VEDERLO: ERA PIERGIORGIO.
PIERGIORGIO ADULTO.
TENEVA ANCORA IN MANO UN GROSSO COLTELLO, CON CUI AVEVA APERTO L’UTERO DI GREGGIO.
EZIO, NELLA SUA FORMA DI ENORME LOMBRICO NEURALE, SI STAVA CONTORCENDO DAL DOLORE, ATTORCIGLIATO NEL CRATERE DELL’ISOLA VULCANICA CHE AVEVA ADIBITO A SUO PERSONALE NIDO DI MORTE.
ERA UN LOMBRICO TALMENTE GRANDE CHE PERSINO A DISTANZA DI DIVERSI CHILOMETRI RIUSCIVO ANCORA A SCORGERLO, ALL’ORIZZONTE, MENTRE PIERGIORGIO MANOVRAVA LA BARCA A MOTORE SUI MARI PIATTI DELLA POLINESIA.
“ANCORA UNA VOLTA TI DEVO RINGRAZIARE, VECCHIO MIO…”
“E DI COSA, FABIO? GLI AMICI SONO QUI PER QUESTO.”
CI GUARDAMMO NEGLI OCCHI PER QUALCHE SECONDO, IN UN SILENZIO QUASI IMBARAZZATO.
“EZIO MI HA DETTO QUALCOSA DI STRANO, MENTRE ERO DENTRO DI LUI…”
“CHE COSA?”
“MI HA DETTO CHE ANCHE ADESSO, QUA FUORI, SIAMO NELLE VISCERE DI QUALCHE CREATURA, CHE TUTTI QUANTI SIAMO DENTRO UNA CREATURA PIÙ ANTICA E POTENTE PERSINO DI LUI… E CHE QUINDI QUESTA REALTÀ È SOLO UNA DELLE TANTE CHE POTREMMO VIVERE.”
PIERGIORGIO SORRISE, I SUOI RICCIOLI CASTANI SCOMPIGLIATI DALLA BREZZA OCEANICA MENTRE LA BARCA SFRECCIAVA VERSO OCCIDENTE.
“FORSE, FABIO…. O FORSE QUESTA È L’UNICA REALTÀ CHE ABBIAMO A DISPOSIZIONE, E NON C’È ALCUN MODO DI CAMBIARLA O DI SFUGGIRNE… QUALE DEI DUE È IL CASO PIÙ INQUIETANTE, SECONDO TE?”
MI STRINSI NELLE SPALLE E MI SEDETTI A PRUA, A FISSARE L’ORIZZONTE PIATTO IN CUI IL SOLE SI STAVA IMMERGENDO, MENTRE GLI SPRUZZI D’ACQUA MI COLPIVANO IL VOLTO, E IL GORGOGLÌO DEL LOMBRICO AGONIZZANTE SI SPEGNEVA IN LONTANANZA.

MARIO E IL MOSTRO

MARIO NON ERA MAI STATO FELICE.
QUANDO LA MATTINA SI SEDEVA DIETRO AL SUO SPORTELLO, ALL’UFFICIO POSTALE DI VIA MAZZINI, E DAVA UN’OCCHIATA INFASTIDITA ALLA FILA DI VOLTI ANONIMI CHE SI STENDEVA DI FRONTE A LUI, GLI PAREVA DI OSSERVARE LA REALTÀ ATTRAVERSO UN VETRO OPACO.
NON ERA MAI STATO FELICE, FORSE NEPPURE DA BAMBINO.
ERA RIMASTO MARCHIATO TROPPO PRESTO.
VEDERE IL PATRIGNO PORTATO VIA IN MANETTE, DOPO CHE FINALMENTE LA MADRE SI ERA DECISA A DENUNCIARLO, AVEVA ALIMENTATO L’ILLUSIONE CHE CON LUI SE NE SAREBBERO ANDATI ANCHE I DEMONI CHE LO TORMENTAVANO.
NON ERA STATO COSÌ.
LE CICATRICI ERANO TROPPO PROFONDE, E QUEL SENSO DI IMPURITÀ E DI INADEGUATEZZA NON LO AVEVA MAI LASCIATO, IMPEDENDOGLI DI FARE PROGETTI, DI COLTIVARE AMBIZIONI E SPERANZE.
SI ERA TROVATO COSÌ, SULLA SOGLIA DEI QUARANT’ANNI, A TIMBRARE BOLLETTINI E VERSARE PENSIONI COME UN SONNAMBULO, IN ATTESA CHE L’UFFICIO CHIUDESSE E INIZIASSE LA SUA VERA VITA.
UTILIZZAVA DIVERSI SISTEMI DI NAVIGAZIONE IN INCOGNITO, E IL FATTO DI NON ESSERE MAI STATO PRESO AVEVA NUTRITO IL SUO SENSO DI IMPUNITÀ, RENDENDOLO SEMPRE PIÙ AUDACE.
AVEVA INIZIATO CON SEMPLICI FOTO E VIDEO, POI ERA PASSATO ALLE CHAT, DI QUELLE IN CUI POTEVA SCAMBIARE MATERIALE E STORIE CON UNA VARIOPINTA CONGREGA DI PROPRI SIMILI.
E POI SI ERA MESSO A FARE LE FOTOGRAFIE LUI STESSO, ALL’INIZIO ALL’INGRESSO DELLA SCUOLA, E IN SEGUITO ATTRAVERSO UNA FINESTRA CHE DAVA SULLO SPOGLIATOIO.
AVEVA DECISO, IN BASE A UNA COERENZA INTERIORE TUTTA SUA, DI ESSERE ESENTE DAI PARAMETRI MORALI CHE SI APPLICAVANO AL RESTO DELLA SOCIETÀ.
QUELLI VALEVANO PER LE PERSONE DI SUCCESSO, PER LE PERSONE FELICI E REALIZZATE. NON PER LUI, A CUI ERA STATA NEGATA OGNI POSSIBILITÀ DI ESSERE COME LORO.
SE C’ERA UN DIO MISERICORDIOSO NON L’AVREBBE CERTO PUNITO PER L’UNICA, LA SOLA COSA CHE GLI DESSE PIACERE NELLA VITA.
SEGUENDO QUESTA CONVINZIONE, AVEVA SAGGIATO DI CONTINUO I LIMITI DELLA SUA ELASTICITÀ MENTALE, SPINGENDOSI SEMPRE OLTRE.
L’ULTIMO PASSO PERÒ, QUELLO DI ANDARE DALL’OSSERVAZIONE ALLA CACCIA VERA E PROPRIA, NON AVEVA ANCORA AVUTO L’OCCASIONE DI COMPIERLO.
UNO DEI SUOI COMPAGNI DI CHAT, PIFFERAIO_76, FACEVA SPESSO LO SPACCONE, VANTANDOSI DI TUTTE LE SUE ‘CONQUISTE’, E SPIEGAVA I METODI PIÙ SICURI PER NON FARSI BECCARE, INVITANDO GLI ALTRI A SEGUIRE IL SUO ESEMPIO.
MARIO ERA CONSAPEVOLE DEI RISCHI, MA IMMAGINARE NON GLI BASTAVA PIÙ. SENTIVA QUELLA SETE FEROCE CRESCERE DENTRO DI LUI, E DIVORARLO. OLTRE AL PIACERE, NEGLI ANFRATTI PIÙ REMOTI DELLA SUA MENTE C’ERA UNA MOTIVAZIONE INCONSCIA, CON RADICI BEN PIÙ FORTI. UNA FORMA DI ASTIO, DI INVIDIA PER QUELLA INFANZIA CHE GLI ERA STATA NEGATA, LA CONVINZIONE IRRAZIONALE CHE, VIOLANDO L’INNOCENZA DI ALTRI, FORSE AVREBBE RITROVATO LA SUA.
FECE LA SUA MOSSA UN POMERIGGIO DI APRILE. QUEL BAMBINO GRASSOTTELLO TORNAVA A CASA DA SOLO, PERCORRENDO SEMPRE LA STESSA STRADA, UN VIOTTOLO STERRATO DA CUI NON PASSAVA MAI NESSUNO.
LO AFFIANCÒ CON LA SUA SEICENTO BIANCA.
“EHI BIMBO, VUOI UN PASSAGGIO A CASA?”
IL BAMBINO ANNUÌ. MARIO GLI APRÌ LA PORTIERA, E LUI SALÌ IN MACCHINA SENZA PROFERIRE PAROLA.
“COME TI CHIAMI BEL BIMBO?”
IL BAMBINO RIMASE IN SILENZIO, CONTINUANDO A FISSARE MARIO COI SUOI GRANDI OCCHI SCURI.
“VA BENE, SEI UN TIPETTO DI POCHE PAROLE. MI PIACCIONO I TIPETTI COME TE. E DOVE STAI DI CASA?”
“C’È UN VECCHIO CAPANNONE ABBANDONATO A MEZZO CHILOMETRO DA QUI” RISPOSE IL BIMBO CON TONO CUPO.
“ACCIPICCHIA E PURE SVEGLIO! HAI GIÀ CAPITO L’ANTIFONA!”
“SO CHE RESISTERE È INUTILE” REPLICÒ IL BIMBO CON VOCE PIATTA.
MARIO ANNUÌ. SAPEVA CHE ERA COSÌ.
PARCHEGGIÒ LA SEICENTO DIETRO IL CAPANNONE, E SI VOLTÒ VERSO IL BAMBINO: GLI PARVE, DI SFUGGITA, CHE SI FOSSE INGROSSATO DA QUANDO LO AVEVA CARICATO, E CHE I VESTITI GLI STESSERO ANCORA PIÙ STRETTI. SICURAMENTE SI STAVA SBAGLIANDO.
“CHE FACCIAMO. ANDIAMO DENTRO?”
“NO, MARIO. VOGLIO FARLO QUI.”
ANCHE LA VOCE DEL BAMBINO PAREVA ALTERATA, SEMBRAVA PIÙ PROFONDA E DISTORTA.
“EHI MA COME SAI IL MIO NOME?”
MARIO SENTÌ IL RUMORE DELLE SICURE CHE SI ABBASSAVANO.
PER L’ULTIMA VOLTA.
QUELLA SERA SI ERANO INCONTRATI DUE MOSTRI MOLTO DIVERSI.
UNO ERA NATO DAGLI ABUSI E DALLA DISPERAZIONE, UN MOSTRO PATETICO E SENZA SENSO.
L’ALTRO, INVECE, ERA SEMPRE ESISTITO.

AL DI LÀ DEL BENE E DEL MALE

“E QUINDI NIETZSCHE SEMBRA VOLER EVIDENZIARE CON FORZA UN CONCETTO PRECISO RIGUARDO AL RELATIVISMO MORALE… OVVERO COME ESSO NON EQUIVALGA ALLA MANCANZA DI MORALITÀ, MA PIUTTOSTO ALLA SEMPLICE NECESSITÀ DI VARIARE I PARAMETRI MORALI A SECONDA DELLE CIRCOSTANZE… NON SOLO IN BASE ALL’EPOCA E ALLA CULTURA DI RIFERIMENTO, MA ANCHE IN BASE A CHI… O A COSA… VENGANO APPLICATI…”
IACCHETTI SI ERA FERMATO E STAVA SCRUTANDO L’AULA, COME PER SONDARE L’UMORE DEI SUOI STUDENTI.
“CI SONO DOMANDE, RAGAZZI? FAZIO… PREGO…”
“PROFESSOR IACCHETTI, NON TROVA CHE QUESTA IMPOSTAZIONE CONTRADDICA IL CONCETTO STESSO DI MORALITÀ? SE I PRINCIPI MORALI DEVONO ADATTARSI ALLA SOCIETÀ BISOGNERÀ STABILIRE COME APPLICARLI DI VOLTA IN VOLTA E, INEVITABILMENTE, A VANTAGGIO DI CHI. CON DELLE PREMESSE DEL GENERE L’UNICA MORALITÀ POSSIBILE DIVENTA QUELLA DEL POTERE E DELLA FORZA. IN SOSTANZA… O I PRINCIPI MORALI SONO ASSOLUTI… O ALTRIMENTI NON HA ALCUN SENSO CHE ESISTANO… O ALMENO QUESTO È CIÒ CHE PENSO.”
IL RICORDO DI QUEL GIORNO DI TANTI ANNI FA ERA VENUTO A TORMENTARLO SPESSO NEGLI ULTIMI TEMPI.
IACCHETTI STRINSE IL VOLANTE FRA LE DITA.
LA MACCHINA VOLTÒ DI NUOVO, QUESTA VOLTA TAGLIANDO PER IL BOSCO.
I TRONCHI SPOGLI DEI PINI, ILLUMINATI DALLA LUCE INDISCRETA DEI FARI, ERANO L’UNICO SEGNO DI VITA A FIANCHEGGIARE LA STRADA DISSESTATA. A OGNI SOBBALZO IL CIGOLÌO METALLICO DELL’AUTO RISUONAVA SINISTRO E ALIENO, UN INTRUSO NEL SILENZIO DELLA NOTTE.
“RALLENTA, ENZO…” MORMORÒ GREGGIO, GETTANDO LA SIGARETTA NEL BUIO E TIRANDO SU IL FINESTRINO.
“QUESTA È L’ULTIMA VOLTA, TI AVVERTO.”
GREGGIO SI MISE A TOSSIRE, COME SE IL FUMO GLI FOSSE ANDATO DI TRAVERSO.
“CERTO ENZINO, SE PENSARLO TI FA SENTIRE MEGLIO… ECCO, GUARDA, ACCOSTA QUI,” AGGIUNSE INDICANDO UNO SPIAZZO ALLA LORO SINISTRA.
IACCHETTI CHIUSE LO SPORTELLO DIETRO DI SÉ E SI ALLONTANÒ DI QUALCHE METRO. SI PRESE UN ATTIMO PER RESPIRARE A PIENI POLMONI L’ARIA SOTTILE DELL’AUTUNNO. UN ATTIMO PER NON PENSARE.
DAL SEDILE POSTERIORE SCESE UN RAGAZZO DI NON PIÙ DI DICIOTT’ANNI, CON IL VOLTO LISCIO E I CAPELLI CHIARI, VESTITO LEGGERO A DISPETTO DEL FREDDO.
IACCHETTI SENTÌ GREGGIO AVVICINARSI AL GIOVANE: IL RUMORE DELLE FOGLIE MORTE CHE SI ACCARTOCCIAVANO SOTTO I PASSI DI EZIO RIMBOMBAVA CON RACCAPRICCIO DENTRO LA SUA TESTA.
“SEI PRONTO?” CHIESE GREGGIO AL RAGAZZO.
IACCHETTI ERA VOLTATO DALL’ALTRA PARTE: SI ERA ACCESO UNA SIGARETTA E FISSAVA L’OSCURITÀ ALLA RICERCA DI UN APPIGLIO.
UDÌ LA RISPOSTA CRISTALLINA DEL RAGAZZO, DIETRO DI LUI.
“SÌ, MIO SIGNORE ANTICO.”
E IN QUEL MOMENTO QUALCOSA SCATTÒ NEL PROFONDO DELLE SUE VISCERE.
SI VOLTÒ, PUNTANDO LA PISTOLA CONTRO GREGGIO.
EZIO ESPLOSE A RIDERE, E LA NOTTE, ORRIPILATA, GLI RESTITUÌ L’ECO SORDA E CUPA DELLA SUA RISATA.
“È TROPPO TARDI PER FARSI CRESCERE UNA COSCIENZA, ENZINO… IL RAGAZZO HA FATTO LA SUA SCELTA.”
SENZA MOSTRARE ALCUN SEGNO DI SPAVENTO, IL GIOVANE SI AVVICINÒ A IACCHETTI, FACENDOGLI ABBASSARE DELICATAMENTE LA PISTOLA.
“SIGNOR ENZO NON SI FACCIA PENA PER ME. CONOSCO BENISSIMO QUELLO A CUI STO ANDANDO INCONTRO… E SO CHE NON SARÀ FACILE. MA LA MIA ANIMA ABORRE QUESTO MONDO DA TEMPO, E FORSE DA SEMPRE: PUÒ ESSERE IN PACE SOLO NEL VUOTO SENZA LUCE DELL’ORRORE CHE ANNULLA LA MORTE. LÌ POTRÒ SERVIRE IL MIO SIGNORE ANTICO… NESSUNO MI COSTRINGE… MI CREDA… È VERAMENTE QUELLO CHE VOGLIO.”
GLI OCCHI GIALLI DI GREGGIO RISPLENDEVANO NEL BUIO: LO DILEGGIAVANO, LO SCHERNIVANO.
IACCHETTI SI GIRÒ E SI ALLONTANÒ TRA GLI ALBERI.
RAGGIUNSE UNA RADURA, IN CUI L’OSCURITÀ FITTA LASCIAVA IL POSTO AL BAGLIORE SOFFUSO DELLA LUCE LUNARE.
SVUOTÒ IL TAMBURO DEI PROIETTILI, LASCIANDONE UNO SOLO, POI LO FECE RUOTARE VELOCE E LO RICHIUSE DI SCATTO.
I SOLITI GORGOGLII RACCAPRICCIANTI, ORMAI FAMILIARI COME IL RUMORE DEL VENTO, LO RAGGIUNSERO ALLE SPALLE, FRAMMISTI A UNA SUCCESSIONE SENZA POSA DI GRIDA ATROCI E SENZA SPERANZA.
SPINSE LA CANNA CONTRO IL MENTO, E SI PRESE UN RESPIRO PROFONDO.
ABBASSÒ IL CANE, E TIRÒ IL GRILLETTO.
UDÌ UNO SCATTO A VUOTO, E QUINDI DI NUOVO IL SILENZIO ASSOLUTO.
E POI SENTÌ L’ARTIGLIO DI GREGGIO SU UNA SPALLA.
“FORZA, ANDIAMO…”

A CHE PUNTO È IL MALE

DIETRO IL BANCONE, UMBERTO SMAILA STAVA ASCIUGANDO CON UN PANNO L’ENNESIMO BOCCALE DI BIRRA.
CURVO NEL SUO IMPERMEABILE SCURO, GREGGIO INDICÒ IL BICCHIERE VUOTO DAVANTI A SÉ.
“UN ALTRO AMARO? EZIO, SEI GIÀ A QUOTA DIECI… DIMMI ALMENO CHE NON DEVI GUIDARE.”
“NO, TRANQUILLO, DOPO MI PRENDO UN TAXI…”
“BE’ IO SONO COMUNQUE PREOCCUPATO PER TE”, REPLICÒ SMAILA VERSANDO UN LUCANO, “QUANTO TEMPO È CHE NON ASSORBI UN’ANIMA NELL’OSCURITÀ PRIMIGENIA DEL TUO APPARATO UROGENITALE?”
GREGGIO SI ACCAREZZÒ IL MENTO, E PRESE SVOGLIATAMENTE IL BICCHIERE TRA LE DITA: “MESI, FORSE UN ANNO UMBERTO… NON SO COME SPIEGARLO, MA SENTO QUALCOSA CHE MANCA, QUALCOSA CHE PRIMA C’ERA E ORA NON ESISTE PIÙ, UNA SPECIE DI VUOTO…”
SMAILA ANNUÌ: “SAI, ANCHE FELLINI A UN CERTO PUNTO SI ERA BLOCCATO: NON RIUSCIVA PIÙ AD AVERE IDEE… CRISI CREATIVA. E ALLORA HA GIRATO OTTO E MEZZO, UN FILM SULLA SUA INCAPACITÀ DI FARE FILM…”
GREGGIO ALZÒ UN SOPRACCIGLIO IN DIREZIONE DEL BARISTA.
“QUELLO CHE VOGLIO DIRE EZIO… È CHE ANCHE TU TROVERAI MODO DI USCIRNE…”
GREGGIO SOLLEVÒ IL BICCHIERE, CONCENTRANDO LO SGUARDO SUI RIFLESSI DELL’AMARO CHE SI RIVERBERAVANO SUL VETRO.
“NO, UMBERTO, LA VERITÀ È CHE QUESTI NON SONO I TEMPI GIUSTI PER IL MALE ASSOLUTO. LA GENTE NON CI CREDE PIÙ, E QUINDI NON NE HA PIÙ PAURA. AL CONTRARIO, È L’EPOCA DELL’APATIA E DELL’INDIFFERENZA… E IN UN’EPOCA DEL GENERE NON C’È POSTO PER QUELLI COME ME…”
IN QUEL MOMENTO TRE RAGAZZI, CHE ERANO RIMASTI SEDUTI A TRACANNARE BIRRA TUTTA LA SERA, SI AVVICINARONO CON ARIA SPAVALDA AL BANCONE.
“UMBERTO!” ESCLAMÒ UNO DEI GIOVANI, “NON TROVI CI SIA UN PO’ TROPPA PUZZA DI ORRORE ANCESTRALE IN QUESTO POSTO?”
“RAGAZZI VEDIAMO DI NON CERCARE ROGNE: EZIO È VENUTO SOLO A FARSI QUALCHE BICCHIERE IN SANTA PACE…”
“SIAMO SICURI? SIAMO SICURI CHE NON VOGLIA RISUCCHIARCI DENTRO DI LUI PER CONSUMARE LA NOSTRA CARNE NEI LENTI EONI DEL SUO NERO POZZO GINECOLOGICO?”
“COME DICE UMBERTO… NON VOGLIO PROBLEMI” SOGGIUNSE GREGGIO BUTTANDO GIÙ IL SUO AMARO, “E COMUNQUE STAVO ANDANDO A CASA.”
“ECCO BRAVO, VAI A CASA! CHE ALLA TUA ETÀ BISOGNA ANDARE A LETTO PREST! AHAHAHAHAH!”
EZIO SI ALZÒ E USCÌ DAL LOCALE, MENTRE DIETRO DI LUI RISUONAVANO ANCORA SGUAIATE LE RISATE DEI GIOVINASTRI.
SI STRINSE NELLE SPALLE, SENTENDO L’ARIA FREDDA DELL’INVERNO CHE INVESTIVA LA SUA PELLE.
AVREBBE POTUTO TRASFORMARSI IN QUALCOSA CON UNA PELLICCIA, COME UN ORSO… O UNO YAK CARNIVORO DELLA PAPUA NUOVA GUINEA, MA DECISE DI SOPPORTARE IL GELO E RIMANERE IN FORMA UMANA PER NON DARE TROPPO NELL’OCCHIO.
SCESE SUL LUNGOTEVERE, E TRA LE OMBRE CHE SI MESCOLAVANO NELLA NOTTE RIUSCÌ A DISTINGUERE, ACCOVACCIATO VICINO ALLA RIVA, IL CORPO TREMOLANTE DI UN SENZATETTO.
SI AVVICINÒ, E UN ODORE PENETRANTE DI ALCOOL E SUDORE RAGGIUNSE LE SUE NARICI.
L’UOMO AI SUOI PIEDI SI RIGIRÒ NEGLI STRACCI SPORCHI IN CUI ERA AVVOLTO: DISCHIUSE LE PALPEBRE, E NEL VEDERE QUEGLI OCCHI CHE LO FISSAVANO DALL’ALTO, DI UN GIALLO ANTICO ED ELEGANTE, SOSPESI QUASI SENZA CORPO NELL’OSCURITÀ FITTA DELLA NOTTE, EBBE UN SUSSULTO SCOMPOSTO.
E ALLORA GREGGIO SENTÌ QUALCOSA CHE NON AVEVA MAI PROVATO PRIMA.
PENA, FORSE COMPASSIONE.
MA ERA PENA PER QUELL’UOMO, CHE GIACEVA INDIFESO E PATETICO SOTTO DI LUI, PRONTO AD ESSERE AVVILUPPATO NELL’ORRORE SENZA FINE DELLE SUE INTERIORA, O ERA PENA PER SÉ STESSO?
DIEDE UN COLPO DI TOSSE.
ROVISTÒ NELLE TASCHE E NE TIRÒ FUORI UNA MONETA, LASCIANDOLA CADERE DI FRONTE ALL’UOMO.
POI SI INCAMMINÒ LUNGO IL FIUME, CON IL SOLO RUMORE DELLA CORRENTE A FARGLI COMPAGNIA.
ERA SOPRAVVISSUTO A COSE BEN PEGGIORI: SAREBBE SOPRAVVISSUTO ANCHE A QUESTO.

SIGONELLA, LA VERITÀ

“PRESIDENTE CRAXI.”

ERA UNA STANZA ANGUSTA E SENZA FINESTRE. IL FUMO SALIVA IN UN FILO SOTTILE E SINUOSO DAL SIGARO DEL SEGRETARIO SOCIALISTA, PER POI DISSOLVERSI NEL BUIO.

“DOTTOR DI PIETRO”: LA VOCE STENTOREA DI CRAXI TAGLIAVA IL SILENZIO COME UNA LAMA.

IL MAGISTRATO SI SISTEMÒ LA GIACCA E SI SEDETTE DI FRONTE A LUI. CRAXI LO SQUADRÒ.

PIÙ CHE DELL’ANGELO STERMINATORE DI CUI SI LEGGEVA NEI GIORNALI, DEL POSSENTE CONDOTTIERO DELL’ESERCITO MEDIATICO-GIUDIZIARIO CHE STAVA FALCIDIANDO A COLPI DI CUSTODIA CAUTELARE LA VECCHIA CLASSE DIRIGENTE, AVEVA LE SEMBIANZE DI UN FUNZIONARIO GOFFO E INSICURO.

E SE DA UN LATO CRAXI SENTIVA DI POTER MANOVRARE SENZA DIFFICOLTÀ QUEL CONTADINOTTO MOLISANO, DALL’ALTRO L’ESPERIENZA GLI AVEVA INSEGNATO A NON FIDARSI DELLE PRIME IMPRESSIONI, A STUDIARE I PROPRI NEMICI, E A SAGGIARNE FORZE E PUNTI DEBOLI, PRIMA DI PASSARE ALL’ATTACCO.

“IN TELEVISIONE SEMBRA PIÙ MAGRO” AGGIUNSE CON TONO PIATTO IL SEGRETARIO SOCIALISTA.

“E LEI IN TELEVISIONE SEMBRA PIÙ ONESTO”, REPLICÒ DI PIETRO.

CRAXI SORRISE.

“È UN FANTASTICO CREPUSCOLO QUELLO CHE CI AVETE APPARECCHIATO, DOTTOR DI PIETRO. CI SONO I CAPPUCCI IN VOLTO, LA PARANOIA, I CORVI CHE GRACCHIANO E IL TINTINNIO DELLE MANETTE. COSA HO DIMENTICATO? AH GIÀ… L’ODORE DEL SANGUE. UN PO’ TROPPI NECROLOGI PER UNA QUESTIONE DI SPICCIOLI, NON CREDE?”

DI PIETRO PUNTÒ UN DITO CONTRO CRAXI: “QUEI MORTI LI DEVE AVERE LEI SULLA COSCIENZA, NON IO.”

“OH, NON SI PREOCCUPI. PRESTO SARANNO DIMENTICATI NEL VORTICE DELLA STORIA. DEL RESTO COME DICEVA STALIN? UN MORTO È UNA TRAGEDIA, CENTO SONO UNA STATISTICA.”

DI PIETRO SCOSSE LA TESTA CON UN SORRISETTO DI SCHERNO: “SI RISPARMI LE IPERBOLI, PRESIDENTE: NON SIAMO IN PARLAMENTO QUI, NON C’È BISOGNO DI FARE FUOCHI DI ARTIFICIO. SIAMO SOLAMENTE IO, LEI E LA VERITÀ. SE VUOLE RILASCIARE DICHIARAZIONI INERENTI L’INCHIESTA, BENE; ALTRIMENTI FAREMO I CONTI IN TRIBUNALE.”

CRAXI APPOGGIÒ LE MANI SUL TAVOLO E SI CHINÒ PROTERVO VERSO DI PIETRO: “SONO VENUTO PER DIRLE CHE PUÒ GETTARE LA MASCHERA, DOTTOR DI PIETRO. METTIAMO DA PARTE LE FINZIONI E PARLIAMOCI CON FRANCHEZZA, CHE QUESTA STORIA STA COMINCIANDO A STANCARMI, AD ESSERE SINCERO.”

DI PIETRO AGGROTTÒ LE SOPRACCIGLIA: “MA DI COSA STA PARLANDO?”

“MI CREDE UN INGENUO? STATE AFFOGANDO NELLA MERDA I PIÙ GRANDI E LEALI SERVITORI DELLO STATO CHE QUESTA NAZIONE ABBIA MAI AVUTO. E PER COSA? PER QUALCHE CONTO DELLA SERVA, MA ANDIAMO DI PIETRO… CIÒ CHE QUESTO PAESE DEVE A NOI NON È QUANTIFICABILE IN BUSTARELLE O TANGENTI. NEANCHE SE AVESSIMO PRESO DIECI VOLTE QUELLO DI CUI LEI CI ACCUSA, SAREMMO ARRIVATI VICINI A RISCUOTERE IL DEBITO CHE L’ITALIA HA VERSO DI NOI.”

“NON CAPISCO SE LEI STA DELIRANDO O MI STA PRENDENDO PER IL CULO. IO STO FACENDO IL MIO LAVORO E BASTA. DI QUELLO CHE LEI -PRESUMIBILMENTE- AVREBBE FATTO PER IL PAESE NON HO RISCONTRO, NÉ SE LO AVESSI MI INTERESSEREBBE.”

CRAXI SI TIRÒ INDIETRO E SI APPOGGIÒ ALLO SCHIENALE, E PRESE A FISSARE IL MAGISTRATO CON SGUARDO INDAGATORE.

DI PIETRO LO GUARDÒ DI SOTTECCHI: “COSA STA CERCANDO DI DIRMI? CHE CI SAREBBERO MOTIVAZIONI OCCULTE DIETRO QUESTA INCHIESTA?”

CRAXI AVEVA IL VOLTO LUCIDO, COSA CHE GLI SUCCEDEVA SPESSO IN QUEI TEMPI. SI ASCIUGÒ LA FACCIA COL SUO FAZZOLETTO DI LINO.

“E DIRE CHE CE L’AVEVA SCRITTO IN FRONTE.”

“COSA? COS’È CHE AVREI SCRITTO IN FRONTE?”

“IL NOME DEI SUOI PADRONI, DOTTOR DI PIETRO: GLI AMERICANI, O IL MOSSAD, O CHI PER LORO”

DI PIETRO SCOPPIÒ A RIDERE.

“LEI È DAVVERO UN GRANDE ATTORE, CRAXI… COMPLIMENTI…”

“PENSAVO CHE NE FOSSE CONSAPEVOLE, ALMENO IN PARTE. MA ORA MI RENDO CONTO CHE È SOLO UNA PEDINA… LEI NON SA QUELLO CHE STA FACENDO, DOTTOR DI PIETRO… I POTERI CHE MI VOGLIONO ELIMINARE L’HANNO MANOVRATA ALLA PERFEZIONE.”

“CRAXI MA COSA VA FARFUGLIANDO? QUESTI POTERI PER QUALE MOTIVO CE L’AVREBBERO CON LEI?”

“NON RIESCE PROPRIO AD ARRIVARCI? PER SIGONELLA DI PIETRO… PER SIGONELLA…”

“E LEI PENSA CHE GLI AMERICANI SI PRENDEREBBERO IL DISTURBO DI VENDICARSI DI LEI DOPO TUTTI QUESTI ANNI? E SOLO PER UNA MANCIATA DI TERRORISTI PALESTINESI?”

“NON HO IDEA SE SIANO GLI AMERICANI A VOLERMI FUORI DAI GIOCHI… MA POSSO ASSICURARLE UNA COSA: QUELLI DI SIGONELLA NON ERANO CERTO PALESTINESI.”

“E CHE ERANO ALLORA?”

CI FU UN ISTANTE DI SILENZIO, ROTTO SOLO DAL TICCHETTIO DELL’OROLOGIO APPESO ALLA PARETE. CRAXI SI SISTEMÒ GLI OCCHIALI.

“LA SERA DEL 9 OTTOBRE 1985, NEL PIENO DELLA CRISI, RICEVETTI UNA CHIAMATA. NON SUL TELEFONO DI PALAZZO CHIGI, MA SULLA MIA LINEA PERSONALE. ERA IL PRESIDENTE MUBARAK: MI DISSE CHE I QUATTRO DIROTTATORI DELL’ACHILLE LAURO NON DOVEVANO ASSOLUTAMENTE FINIRE IN MANO AGLI AMERICANI. NON PERCHÉ FOSSERO PALESTINESI… OH NO…IN QUEL CASO NON GLIENE SAREBBE FREGATO UN CAZZO… MA PERCHÉ SI TRATTAVA DI ALIENI…”

DI PIETRO RIMASE IMMOBILE. BETTINO STUDIÒ LA SUA REAZIONE: PAREVA MOLTO MENO SORPRESO DI QUELLO CHE SI ASPETTAVA.

NEL POSACENERE, IL SIGARO DI CRAXI SI ERA SPENTO DEL TUTTO.

“CERTO, COME NO… E COSA CI FACEVANO DEGLI ALIENI SU UNA NAVE DA CROCIERA ITALIANA?”

“MUBARAK NON SEPPE DIRMI NULLA ALL’EPOCA. QUANDO CI RISENTIMMO, ANNI PIÙ TARDI, MI RIVELÒ CHE SECONDO ABBAS STAVANO CERCANDO QUALCUNO… O QUALCOSA… COME DEI POLIZIOTTI A CUI SIA SFUGGITO UN DETENUTO…”

DI PIETRO SI ALZÒ DALLA SEDIA E AGGIRÒ IL TAVOLO, AVVICINANDOSI A CRAXI.

“UN FUGGITIVO, EH?”

“SO CHE È DIFFICILE DA CREDERE, DOTTOR DI PIETRO. MA FRA I COMPITI DI UN UOMO DI STATO C’È QUELLO DI TENERE NASCOSTE CERTE VERITÀ… VERITÀ DI CUI LA CITTADINANZA NON HA BISOGNO, E DA CUI IL PAESE NON TRARREBBE ALCUN GIOVAMENTO…”

BETTINO PERCEPÌ I PASSI DI DI PIETRO NELLA PENOMBRA, FINCHÉ NON FU DIETRO DI LUI, E ALLORA SENTÌ LE MANI DEL P.M. APPOGGIARSI SULLE SUE SPALLE.

“LE CREDO CRAXI… LE CREDO…”

“ECCO… PER CUI CI VADA PIANO CON QUESTA INCHIESTA… SONO SICURO CHE NEMMENO A LEI PIACE FARE IL BURATTINO…”

CRAXI SENTÌ CHE DI PIETRO SI CHINAVA DIETRO DI LUI, FINO A SFIORARGLI L’ORECCHIO DESTRO CON LE LABBRA: “OH MA QUESTO NON DIPENDE DA ME, PRESIDENTE…”

DI PIETRO ENTRÒ NELL’UFFICIO DEL POOL TUTTO TRAFELATO: “PIERCAMILLO, È GIÀ ARRIVATO CRAXI?”

DAVIGO ALZÒ GLI OCCHI DAL SUO CAFFÉ: “È ARRIVATO DA DUE ORE. È NELLO STANZINO DEL VICEQUESTORE… PENSAVO LO STESSI GIÀ INTERROGANDO…”

“E PERCHÉ?”

DAVIGO ALZÒ LE SPALLE: “COSÌ MI HANNO DETTO.”

“EH, TI HANNO DETTO MALE…”

DI PIETRO SI AFFRETTÒ NEL CORRIDOIO, E APRÌ UNA PORTA LATERALE: NELLA STANZA C’ERA UN ODORE STRANO. CRAXI ERA IN PIEDI, E SI STAVA METTENDO LA GIACCA.

“PRESIDENTE, SONO STATO INFORMATO CHE VUOLE RILASCIARE DICHIARAZIONI SPONTANEE…”

“NO… HO CAMBIATO IDEA… TUTTO QUELLO CHE HO DA DIRE LO DIRÒ AL PROCESSO. MI SCUSI IL DISTURBO, DOTTOR DI PIETRO.”

DI PIETRO GLI LANCIÒ UNO SGUARDO INTERROGATIVO: “E COME MAI HA CAMBIATO IDEA?”

“NOI SOCIALISTI SIAMO COSÌ… CAMBIAMO IDEA FACILMENTE”, RISPOSE CRAXI PASSANDOGLI DI FIANCO.

DI PIETRO LO GUARDÒ PERPLESSO MENTRE SI ALLONTANAVA NEL CORRIDOIO. PRIMA DI USCIRE DALLA PORTA, CRAXI SI GIRÒ, E AL MAGISTRATO PARVE DI COGLIERE UN BAGLIORE GIALLOGNOLO NEI SUOI OCCHI: “L’OPINIONE PUBBLICA È AFFAMATA DI NUOVE EMOZIONI, DOTTOR DI PIETRO. LASCI CHE LE DIA UN CONSIGLIO, SIA A LEI CHE ALLA SUA SQUADRA… FATE PREST-.”

IL VIAGGIO

LA STRADA, A FATICA SOTTRATTA ALL’OSCURITÀ DALLA FLEBILE LUCE DEI LAMPIONI, PASSAVA DI FIANCO A CLAUDIO CON GELIDA INDIFFERENZA, PER POI RIGETTARSI NEL BUIO DOPO NEACHE UN CENTINAIO DI METRI.
ERA UN FRAMMENTO DI MONDO SOSPESO AL DI FUORI DELLA REALTÀ, QUELLO ATTORNO ALLA PENSILINA SOTTO CUI IL RAGAZZO ATTENDEVA PAZIENTE: IL TEMPO AVEVA RALLENTATO AD UNA FREQUENZA SORDA, IL TICCHETTÌO SINISTRO DI UN VECCHIO OROLOGIO A MURO, CHE LO AVEVA IPNOTIZZATO.
PENSARE ERA L’UNICA COSA CHE RIUSCIVA A FARE IN QUELLA SITUAZIONE, MA ERA ANCHE L’UNICA COSA CHE NON VOLEVA FARE. PERCHÉ LA CORRIERA NON ARRIVAVA?
FINALMENTE UDÌ IL SUONO TRANQUILLIZZANTE DELLE RUOTE SULL’ASFALTO, E VIDE I FARI TRAFIGGERE LA NEBBIA, E ABBAGLIARLO, MENTRE SI AVVICINAVA AL CIGLIO DELLA STRADA E FACEVA SEGNO DI ACCOSTARE.
LE PORTE AUTOMATICHE SI APRIRONO LENTAMENTE: L’AUTISTA ERA UN UOMO SULLA CINQUANTINA, COL DOPPIO MENTO E IL VOLTO INESPRESSIVO.
CLAUDIO SALÌ A BORDO.
MENTRE TIRAVA FUORI DALLE TASCHE GLI SPICCIOLI PER IL BIGLIETTO, LANCIÒ UN’OCCHIATA ALL’INTERNO DEL VEICOLO: I SEDILI ERANO PRESSOCHÉ TUTTI VUOTI; C’ERA UNA VECCHIETTA IN PRIMA FILA, UN RAGAZZO ADDORMENTATO CON LA FACCIA CONTRO IL FINESTRINO, ED UN UOMO SEDUTO SU UNO DEI POSTI IN FONDO, COL VOLTO NASCOSTO DALLA PENOMBRA.
CLAUDIO SI AVVIÒ VERSO LE ULTIME FILE, MENTRE LE PORTE SI CHIUDEVANO E IL MEZZO RIPRENDEVA LA SUA CORSA NELLA CALMA DELLA NOTTE.
SI TOLSE IL CAPPUCCIO E APPOGGIÒ LO ZAINO SU UN SEDILE.
“FA UN BEL FREDDO, EH?”
LA VOCE DELLO SCONOSCIUTO ERA CALDA E PROFONDA. CLAUDIO SI GIRÒ VERSO DI LUI, SORRIDENDO.
“AH, PENSI CHE IO ERO LÌ AD ASPETTARE DA UN’ORA.”
“GIÀ,” ANNUÌ L’UOMO NEL BUIO, “FANNO SPESSO DI QUESTI RITARDI I NOTTURNI… MA NON SI PREOCCUPI, ORA SI FILA SVELTI. LEI È DI QUESTE PARTI? NON HO MAI VISTO NESSUNO SALIRE A QUELLA FERMATA.”
“SÌ, SONO DI QUI… DICIAMO DI SÌ…” REPLICÒ CLAUDIO, COL TONO DI CHI VOLEVA CHIUDERE LA DISCUSSIONE.
“DICIAMO DI SÌ…” RIPETÉ L’UOMO SOTTOVOCE.
CLAUDIO SI ABBANDONÒ SULLO SCHIENALE E SI INFILÒ GLI AURICOLARI.
SI ASSOPÌ, O GLI PARVE DI ASSOPIRSI, FORSE PER QUALCHE MINUTO.
“È IL CAPOLINEA PER LEI.”
“COME?” SALTÒ SU CLAUDIO, TOGLIENDO GLI AURICOLARI.
“NO, DICO… LA PROSSIMA… È IL CAPOLINEA. IMMAGINO SCENDA LÌ.”
CLAUDIO ALZÒ LE SPALLE: “BE’, È IL CAPOLINEA PER TUTTI, NO?”
“NON PER ME.”
CLAUDIO ALZÒ LE SOPRACCIGLIA PERPLESSO.
“PERCHÉ, CHE FA? TORNA INDIETRO? NON LE CONVIENE SEMPLICEMENTE SCENDERE PRIMA?”
“NO, IO RIMANGO SEMPRE SULLA CORRIERA. MI PIACE STARE QUI SEDUTO, SENTIRE I CHILOMETRI CHE PASSANO, VEDERE LA PROVINCIA SCORRERE ATTRAVERSO IL FINESTRINO… E POI… CONOSCERE QUELLI COME LEI…”
NON CI POTEVA GIURARE, MA A CLAUDIO PARVE DI VEDERE LA BOCCA DELL’UOMO STORCERSI IN UN SORRISO INQUIETANTE.
“SAREBBE A DIRE?”
“QUELLI COME LEI, GENTE IN FUGA…”
“SCUSI, MA IN FUGA DA COSA? LEI NEANCHE MI CONOSCE,” RIBATTÉ CLAUDIO CON TONO STIZZITO.
“ANDIAMO, CHI PRENDE UN PULLMAN ALLE TRE DI NOTTE IN MEZZO AL NULLA, SE NON QUALCUNO CHE HA BISOGNO DI SCAPPARE? QUALCUNO PER CUI IL PESO DELL’ESISTENZA È DIVENTATO INSOSTENIBILE…”
CLAUDIO SI ALZÒ DAL SUO POSTO E RACCOLSE LO ZAINO.
“FERMO! DOVE VAI?”
SENTÌ LA MANO DELL’UOMO AFFERRARGLI IL POLSO, RIGIDA E FREDDA: LA SENSAZIONE DI QUELLA PELLE RUVIDA SULLA SUA LO FECE RABBRIVIDIRE.
“SENTA, IO NON LA CONOSCO, E NON SO DI COSA STA PARLANDO. IN ALTRE CIRCOSTANZE STAREI VOLENTIERI A SENTIRLA BLATERARE, MA SONO DAVVERO STANCO E ADESSO VORREI DORMIRE.”
“MA SÌ CHE MI CONOSCI, CLAUDIO. ED IO CONOSCO TE…”
ORA CHE IL RAGAZZO LI AVEVA VICINI, SI RESE CONTO CHE GLI OCCHI DELLO SCONOSCIUTO SCINTILLAVANO DI UN BAGLIORE GIALLASTRO.
SI MISE A SEDERE, QUASI SENZA ACCORGERSENE.
COME FACEVA L’UOMO A CONOSCERE IL SUO NOME?
“HAI CAPITO CHI SONO?” DOMANDÒ NELLA SUA VOCE SEMPRE PIÙ PROFONDA.
“CREDO DI ESSERMI FATTO UNA VAGA IDEA, SÌ… HO SENTITO LE STORIE DA PICCOLO…”
“E ALLORA SAI GIÀ COSA TI ASPETTA, VERO?”
LA LUCE TENUE DEI LAMPIONI, TAGLIATA DAI FINESTRINI, ILLUMINAVA IL VOLTO DI GREGGIO A INTERMITTENZA, QUASI SCANSIONANDOLO DA UNA PARTE ALL’ALTRA, ED OGNI VOLTA CLAUDIO COGLIEVA UNA PROSPETTIVA DIVERSA DI QUEL SORRISO, UN SORRISO CHE AVEVA POPOLATO I SUOI INCUBI IN MILLE FORME DIVERSE E CHE ORA LO SCHERNIVA, BEFFARDO: LA FREDDA TRANQUILLITÀ DEL MALE.
“NON DOVRESTI ESSERE UNA BELLA DONNA, O QUALCOSA DI SIMILE?”
“SONO CIÒ CHE TU VUOI CHE SIA, CLAUDIO. C’È CHI VUOLE CHE SIA UNA RAGAZZA AFFASCINANTE, CHI UN ATTORE FAMOSO… MA QUELLI SONO I PIÙ FACILI DA OTTENERE, HANNO UN SAPORE MEDIOCRE. E POI CI SONO QUELLI CHE VOGLIONO UN UOMO SENZA VOLTO, UN UOMO QUALSIASI NASCOSTO NELL’OMBRA IN FONDO AD UN PULLMAN; PERSONE CHE HANNO DECISO DI LASCIARSI TUTTO ALLE SPALLE; E SONO LE PIÙ GUSTOSE, PERCHÉ MENTRE LE ASSORBO SENTO TUTTO IL SAPORE DEI LORO RIMPIANTI, DEI TRAUMI CHE NON SONO MAI RIUSCITI A SUPERARE, UN GUSTO AMARO CHE MI RIMANE DENTRO PER SECOLI. AD ESEMPIO…”
GREGGIO APRÌ LA BOCCA: LA SUA LINGUA BIFORCUTA USCÌ SIBILANDO E RAGGIUNSE IL VOLTO DI CLAUDIO; IL RAGAZZO RAGGELÒ, SENTENDONE L’UMIDA SUPERFICIE SONDARE LA SUA PELLE… E LE SUE LABBRA.
“AD ESEMPIO”, DISSE GREGGIO RITRAENDO L’APPENDICE, “TU HAI IL SAPORE DI UN BAMBINO CHE CADE E NON SI RIALZA. DI UNA CORDA E DI UNO SGABELLO. O SBAGLIO?”
CLAUDIO DEGLUTÌ. GREGGIO SAPEVA, SAPEVA TUTTO DI LUI, FORSE PIÙ DI QUANTO SAPESSE LUI STESSO.
AVEVA TAGLIATO I PONTI CON QUEL PASSATO DI CUI PARLAVA E ORA, PER QUANTO PARADOSSALE, IL MALE ANTICO CHE AVEVA DI FRONTE ERA L’ULTIMA COSA CHE GLI RIMANEVA: POTEVA DIVENTARE IL SUO CONFESSORE, IL SUO ANGELO CUSTODE, PERSINO IL SUO PIÙ CARO AMICO.
IN FONDO, NON GLI ERA RIMASTO ALTRO.
STRINSE GLI OCCHI, E UNA LACRIMA GLI SCESE SULLA GUANCIA.
CON RAPIDITÀ CAMALEONTICA, LA LINGUA DI GREGGIO SCHIOCCÒ DI NUOVO FUORI, SUL VISO DEL GIOVANE, LECCANDO VIA DI COLPO QUELLA GUSTOSA GOCCIA DI DOLORE.
“AAAAH… SENTI QUA… NON MI SBAGLIO AFFATTO. PIACE ANCHE A TE, VERO? LO SO CHE TI PIACE, IO NON MI SBAGLIO MAI… FIDATI DI EZIO: QUANDO SARAI AL CALDO, DENTRO DI ME, QUESTA MALINCONIA DIVENTERÀ LA TUA CASA, E NON DOVRAI PREOCCUPARTI DI NULLA… NESSUNO POTRÀ MAI PIÙ FARTI DEL MALE… QUINDI CLAUDIO… VERRAI CON ME, SENZA DARMI PROBLEMI?”
IL RAGAZZO DISTOLSE PER UN ATTIMO LO SGUARDO DA QUEGLI OCCHI GIALLI: GUARDÒ FUORI, VERSO LA CAMPAGNA CHE SI STENDEVA PIATTA, E CHE LO IGNORAVA SILENZIOSA.
“SÌ.”

L’ALTALENA

“L’HAI INCONTRATA QUI, DUNQUE.”

GREGGIO GUARDAVA IN BASSO, CON LE MANI INFILATE NELLE TASCHE DELLA LUNGA GIACCA SCURA: SOTTO DI NOI LA STRADA DESCRIVEVA UN AMPIO TORNANTE, PER POI APRIRSI IN UN PARCHEGGIO DESERTO.

LÀ, CIUFFI D’ERBA SOLITARI SPORGEVANO DALLE CREPE NELL’ASFALTO, COME A VOLER CHIEDERE AIUTO, E LE LATTINE DI BIRRA ARRUGGINITE ROTOLAVANO DA UNA PARTE ALL’ALTRA, SFERZATE DAL VENTO UMIDO DEL PRIMO AUTUNNO.

“SÌ IL POSTO È QUESTO”, RISPOSI, “MA LO RICORDO COMPLETAMENTE DIVERSO.”

PER RAGGIUNGERE LO SPIAZZO TAGLIAMMO ATTRAVERSO UN LIEVE PENDIO; GREGGIO SI GUARDÒ ATTORNO, E POI INDICÒ UN PUNTO NELL’ASFALTO DISSESTATO:

“ERA QUI L’ALTALENA?”

“CREDO DI SÌ, PIÙ O MENO…”

“CHE ORE ERANO?”

“NON SAPREI… DIREI CIRCA QUEST’ORA. IL SOLE ERA SPARITO, MA C’ERA ANCORA LUCE.”

EZIO SI VOLTÒ VERSO DI ME, ALLUNGANDO LE MANI IN AVANTI.

“QUINDI LEI È SEDUTA SULL’ALTALENA, RIVOLTA VERSO LA STRADA…”

“GIÀ…”

“TI VEDE SCENDERE, E VENIRLE INCONTRO…”

“SÌ… APPENA MI VEDE SI METTE A DONDOLARE… E HA UNA SIGARETTA IN MANO…”

“CONTINUA, FABIO…”

CHIUSI GLI OCCHI PER RICORDARE MEGLIO.

“MI SIEDO SUL POSTO DI FIANCO A LEI, E MI METTO A DONDOLARE ANCH’IO. LEI MI OFFRE UNA SIGARETTA: IO LA PRENDO E LEI ME L’ACCENDE.”

“BENE… E POI COSA SUCCEDE?”

“PARLIAMO DI COSA FARE UNA VOLTA FINITA LA SCUOLA… DELLA NOSTRA ULTIMA ESTATE TUTTI INSIEME… MI DICE CHE ANCHE LEI SE NE VUOLE ANDARE…”

“ANCHE… LEI? MA TU VUOI ANDARTENE, FABIO?”

“NON SO… NON CREDO… MA È CIÒ CHE MI SENTO DI DIRE IN QUEL MOMENTO…”

“E LEI COSA FA?”

“MI PRENDE LA MANO, MI ACCAREZZA IL DORSO DELLA MANO… E POI AVVICINA LE LABBRA ALLE MIE…”

“TUTTO BENE FINORA…”

SCOSSI LA TESTA: “NIENTE AFFATTO… PERCHÉ IO MI RITRAGGO…”

“COME MAI?”

APRII GLI OCCHI E GUARDAI GREGGIO.

“PERCHÉ … IN QUEL MOMENTO… MI CONVINGO CHE LA RAGAZZA SIA TU…”

EZIO SORRISE.

“E LEI COSA TI RISPONDE?”

ABBASSAI LO SGUARDO, VERSO LA VALLATA.

“MI DICE CHE NON È EZIO GREGGIO, CHE È UNA RAGAZZINA CONFUSA, ALMENO QUANTO LO SONO IO. SOLO UNA RAGAZZINA CONFUSA IN CERCA DI UN PO’ DI CHIAREZZA… E ALLORA MI MANDA A CAGARE, POI SI ALZA E SE NE VA…”

“E TU?”

“IO RIMANGO LÌ. COMBATTO PER QUALCHE SECONDO CON LA TENTAZIONE DI CORRERLE DIETRO, DI PRENDERLA PER UN BRACCIO E PROVARE A CAMBIARE LE COSE, PER UNA VOLTA, MA ALLA FINE RIMANGO LÌ… A DONDOLARE VUOTO CON LA MIA SIGARETTA IN MANO… E FORSE DA ALLORA CI SONO RIMASTO PER SEMPRE…”

“LEI HA UN SIGNIFICATO PRECISO… QUALCOSA DI PARTICOLARE RISPETTO ALLE ALTRE, NO?”

“SÌ… MORÌ DI LINFOMA QUALCHE ANNO DOPO… LA PRIMA DI NOI A SPEZZARE IL GUSCIO DELL’INVULNERABILITÀ IN CUI SEMBRAVAMO SOSPESI. FORSE È PER QUESTO CHE AI MIEI OCCHI È RIMASTA PER SEMPRE GIOVANE, PER SEMPRE PERFETTA E ARRABBIATA…”

“QUINDI ALLA FINE AVEVA RAGIONE… NON C’ENTRAVA NULLA CON ME…”

“NO… LEI NO…”

GREGGIO ALLARGÒ LE BRACCIA.

“O FORSE SÌ, FABIO, FORSE ERA PRONTA A DIVENTARE EZIO GREGGIO, PROPRIO COME TUTTE LE ALTRE; PROPRIO COME TUTTE LE PERSONE CHE SI SIANO MAI AVVICINATE A TE NEL CORSO DELLA TUA VITA… CHI SUBITO… CHI NEGLI ANNI. E LEI NON HA FATTO IN TEMPO SOLO PERCHÉ È MORTA.”

MI APPOGGIAI ALLA RINGHIERA, GUARDANDO IL PROFILO DELLE MONTAGNE PERDERSI NELLA NEBBIA DEL CREPUSCOLO.

“STAI ADDOSSANDO A ME LA COLPA DELLE TUE NEFANDEZZE?”

“SONO SEMPRE STATO CON TE, FABIO,” PROSEGUÌ EZIO, “SONO SEMPRE STATO IL PRISMA ATTRAVERSO CUI HAI DEFORMATO GLI ESSERI UMANI… NON SAREBBERO MAI DIVENTATI DEI MOSTRI SE TU NON LO AVESSI VOLUTO… SI SAREBBERO CONSUMATI IN MODO PATETICO E ORDINARIO FINO AI LORO ULTIMI GIORNI… E ORA INVECE NUOTANO GLORIOSI NELLE PROFONDITÀ DEGLI OCEANI O ATTENDONO LA FINE DEL MONDO NEL BUIO DELLE FORESTE… E SONO IO CHE TI HO AIUTATO A SALVARLI. POTRESTI ALMENO MOSTRARE UN PO’ DI RICONOSCENZA…”

SENTII UN NODO STRINGERMI LA GOLA, COME QUALCOSA CHE SOFFOCAVA IN SILENZIO NEL PROFONDO DELLA MIA COSCIENZA.

“RICONOSCENZA? MI HAI RESO COMPLICE DI AVER FATTO SCOMPARIRE NEL BUIO CHISSÀ QUANTE VITE… E DOVREI ESSERTI RICONOSCENTE?”

“CAPISCO LA TUA RABBIA, FABIO… MA IO SONO QUELLO CHE SONO… COSÌ COME TU SEI QUELLO CHE SEI… E NÉ TU NÉ IO POSSIAMO FARCI NULLA… LA LUCE HA BISOGNO DELL’OSCURITÀ PER RISPLENDERE…”

MI FECE CENNO DI SEGUIRLO, E CI AVVIAMMO LUNGO LA STRADA, FIANCO A FIANCO.

“ORA CHE CONOSCO LA VERITÀ, CHE SENSO HA CHE TU CONTINUI A ESISTERE?” DOMANDAI A GREGGIO.

“NESSUNO… AVRESTI SEMPRE POTUTO CAVARTELA DA SOLO… MA ORA CHE GIOCHIAMO A CARTE SCOPERTE… IO POTREI INSEGNARTI COME SI FA AD ESSERE UN MOSTRO… E TU POTRESTI INSEGNARE A ME COME SI FA AD ESSERE UN UOMO.”

MI APPOGGIÒ UN ARTIGLIO SULLA SPALLA, E SENTII UN BRIVIDO PERCORRERMI LA NUCA.

“NON CREDO CHE ABBIAMO MOLTO DA INSEGNARCI A VICENDA, EZIO. MA SONO SICURO CHE POSSIAMO CONTINUARE A CAMMINARE INSIEME, E VEDERE UN PO’ COSA SUCCEDE…”

GREGGIO ANNUÌ.

LA STRADA CONTINUAVA IN BASSO, VERSO LA VALLATA.

AVEVO VISSUTO IN QUEL POSTO TUTTA LA VITA, MA NON MI ERO MAI CHIESTO DOVE ANDASSE A FINIRE.

UN BICCHIERE DI RAKIJA

LA RAKIJA NON RIMANE IN BOCCA MOLTO TEMPO: SI METTE A BRUCIARE LA GOLA, POI SCENDE NELLO STOMACO E PERFORA I VISCERI; E INFINE ARRIVA ALL’ANIMA, E INIZIA A CORRODERLA.
BASTA FARE ATTENZIONE QUANDO SI MANDA GIÙ IL PRIMO SORSO, PER CAPIRE CHE NON È UN SEMPLICE MODO DI DIRE: C’È DAVVERO QUALCOSA CHE STRINGE, NEL PROFONDO, QUALCOSA CHE FA CHIUDERE GLI OCCHI E MORDERE LE LABBRA.
E LA BOSNIA È COME LA RAKIJA: UNA TERRA VISCERALE, CHE ARRIVA FINO ALLE BUDELLA, UNA TERRA DI CANZONI TRISTI E BATTAGLIE PERDUTE, CHE COMUNQUE VADA NON PUÒ LASCIARE INDIFFERENTI.
ANCHE SE NON SI DIREBBE ALLA PRIMA IMPRESSIONE.
COME TUTTI I GRANDI LIQUORI AMA MANTENERE UN PROFILO BASSO: UN PAESAGGIO DI COLLINE MODESTE, TUTTE UGUALI, VALLATE INOFFENSIVE, PICCOLI TORRENTI.
E COME PER TUTTI I GRANDI LIQUORI, QUELLO CHE CONTA DAVVERO È IL SECONDO ASSAGGIO.
BOGDAN UNA VOLTA ME LA DESCRISSE COME UN LUOGO SOTTILE, IN CUI IL MONDO DEI VIVI E QUELLO DEI MORTI SONO SEPARATI DALLO SPESSORE DI UNA FOGLIA.
NON VOLEVO TORNARCI, MA RIMANERE INDIFFERENTE AGLI ULTIMI DESIDERI DI UN UOMO MORENTE ANDAVA AL DI LÀ DEL MIO CONSUETO CINISMO: BOGDAN CONTINUAVA A TOGLIERSI GLI OCCHIALINI DELL’OSSIGENO, ANNASPANDO INSOFFERENTE NEL SUO LETTO DI OSPEDALE A BELGRADO, MENTRE L’INFERMIERA SI OSTINAVA OGNI VOLTA RIMETTERGLIELI ADDOSSO.
“CHE MONDO STUPIDO È QUESTO, IN CUI MANDANO I GIOVANI A PRENDERSI I PROIETTILI E IMPEDISCONO AI VECCHI DI MORIRE? DOVREBBE ESSERE IL CONTRARIO.”
MI AVEVA MESSO FRA LE MANI UN CIONDOLO -DOVEVA ESSERE UN BRACCIALE O UNA COLLANA- E MI AVEVA CHIESTO DI PORTARLO A GORAN, NELLA SUA CASA A BERKOVIĆI. NON MI AVEVA DETTO ALTRO.
NON SO PERCHÉ, MA SENTIVO CHE IN QUEL CIONDOLO ERA RACCHIUSO IL SEGRETO DI COME DUE UOMINI COSÌ DIVERSI SI FOSSERO TROVATI A PUNTARE INSIEME I FUCILI CONTRO I LORO FANTASMI, NEL BUIO OLTRE LA TRINCEA: IL PROFESSORE UNIVERSITARIO, GRIGIO FUNZIONARIO DI PARTITO, ATEO FINO ALLE UNGHIE DEI PIEDI, E IL CONTADINO DI BERKOVIĆI, IL CUI UNIVERSO SI ESAURIVA TRA LA MANGIATOIA DEGLI ASINI E LA CHIESA DEL PAESE.
“CI PIACE RACCONTARE A NOI STESSI CHE VI SONO STATI GRANDI IDEALI DIETRO QUELLO CHE ABBIAMO FATTO, MA LA VERITÀ È CHE IO SONO COME GORAN. TUTTI I MIEI STUDI, LE MIE RICERCHE, LE NOTTI INSONNI PASSATE SUI GRANDI INTERROGATIVI DELL’ESISTENZA, LE CERTEZZE SU CHI ERO E SU QUALE FOSSE IL MIO SCOPO NEL MONDO… SI È TUTTO DISSOLTO COME NEVE AL SOLE DI FRONTE ALLA PAURA, E IL CERVELLO DELL’UOMO CIVILIZZATO HA LASCIATO CHE QUELLO DEL RETTILE PRENDESSE IL SOPRAVVENTO: SAI, FABIO, QUANDO I NOSTRI ANTENATI VEDEVANO UNA VESPA SUL BRACCIO LA SCHIACCIAVANO, PRIMA CHE POTESSE PUNGERLI… E NON AVEVA IMPORTANZA SE LA VESPA AVESSE EFFETTIVAMENTE INTENZIONE DI PUNGERLI O MENO. COSÌ È PER NOI CON L’ISLAM: CI EVOCA PAURE ANCESTRALI, VECCHIE LEGGENDE MAI SOPITE DI SANGUE E TESTE MOZZATE… E VOI OCCIDENTALI NON POTRETE GIUDICARCI FINCHÉ NON AVRETE CAPITO TUTTO QUESTO…”
LE PAROLE DI BOGDAN PERMEAVANO LO SFONDO DEI MIEI PENSIERI, MENTRE MI INOLTRAVO FRA LE STRADINE DI BERKOVIĆI. ERA RIMASTO COME VENT’ANNI PRIMA, MUMMIFICATO, TRANNE CHE PER POCHI, PICCOLI PARTICOLARI: LA CARCASSA ARRUGGINITA DEL MISSILE CRUISE CHE SI ERA CONFICCATO NEL TERRENO DURANTE LA GUERRA ERA DIVENTATA UNA SPECIE DI GIOSTRA PER I BAMBINI, LA CHIESA ERA STATA RISTRUTTURATA, E DI FIANCO AL VECCHIO UFFICIO POSTALE ERA SORTA UNA ROSTICCERIA CINESE.
QUANDO ENTRAI IN CASA DI GORAN ERA TARDO POMERIGGIO: C’ERA UN VAGO ODORE DI FIENO, L’ACQUA BOLLIVA SUI FORNELLI, E SUA MOGLIE ERA TUTTA INTENTA A PELARE UNA GROSSA CIPOLLA.
GORAN ALZÒ LO SGUARDO, E VIDI I SUOI OCCHI ILLUMINARSI ATTRAVERSO GLI SPESSI OCCHIALI:
“FABIJE! NON CI POSSO CREDERE! GUARDA, DRAGA, È IL MIO VECCHIO AMICO GIORNALISTA, FABIO. AGGIUNGI UN PIATTO PER LUI!”
“DOBROVEČE”, SBUFFÒ LA DONNA SENZA NASCONDERE IL SUO FASTIDIO.
MENTRE GUARDAVAMO IL SOLE TRAMONTARE ATTRAVERSO LA FINESTRA SENZA VETRI, E IO BUTTAVO GIÙ A FATICA LE ULTIME CUCCHIAIATE DI QUELL’IMPIETOSO MINESTRONE, GORAN EMISE UN LUNGO SOSPIRO.
“NON CI È RIMASTO MOLTO, FABIJE: SI SONO PRESI TUTTO I POLITICI; MA SONO RIUSCITO A FAR STUDIARE STEFAN E VASSILIJE… QUESTO È CIÒ CHE CONTA: TUTTO QUELLO CHE HO FATTO, L’HO FATTO PER LORO. E POI… ALMENO ABBIAMO VINTO.”
RARAMENTE IN VITA MIA HO SENTITO L’AMARO IN BOCCA COME IN QUEL MOMENTO.
“BOGDAN È MORTO.”
VIDI GORAN STRINGERE FORTE IL SUO BASTONE TRA LE MANI GRINZOSE, MENTRE LO SGUARDO DEI SUOI GRANDI OCCHI LUCIDI RIMANEVA INCOLLATO ALL’ORIZZONTE.
“MI HA CHIESTO DI DARTI QUESTO”, AGGIUNSI PORGENDOGLI IL CIONDOLO.
GORAN LO PRESE E SE LO PASSÒ FRA LE DITA TOZZE, ACCAREZZANDONE LA SUPERFICIE COME A VOLER SPREMERE FUORI QUALCHE RICORDO PERDUTO.
“HA QUALCHE SIGNIFICATO PER TE, GORAN?”
“SÌ, ERA DI UNA DONNA… BOGDAN MI AVEVA DETTO CHE LO AVREBBE VENDUTO…”
AVEVA LA VOCE SPEZZATA, E NON EBBI IL CUORE DI CHIEDERE ALTRE SPIEGAZIONI.
“È MORTO A BELGRADO. IL FUNERALE C’È GIÀ STATO… IO HO INSISTITO PERCHÉ TI INVITASSERO, E ANCHE ANOVSKA ERA D’ACCORDO, MA GLI ALTRI PARENTI NON-”
GORAN ALZÒ UNA MANO PER INTERROMPERMI.
“NON C’È BISOGNO CHE TI SCUSI PER LORO, FABIJE. SO COME È FATTA QUESTA GENTE DI CITTÀ… TROPPO SOFISTICATI PER AFFRONTARE IL PASSATO…”
SI VOLTÒ VERSO DI ME.
“NON IMPORTA, LO RIVEDRÒ COMUNQUE PRESTO, IL VECCHIO BOGDAN… SONO PARECCHIO MALATO ANCHE IO -SAI?- IL MEDICO DICE CHE HO SASSI DAPPERTUTTO. L’UNICO PROBLEMA È CONVINCERLI A NON PORTARMI SULLA MONTAGNA.”
URLÒ QUALCOSA IN SERBO ALLA MOGLIE, CHE RISPOSE SPAZIENTITA.
“SULLA MONTAGNA?”
“NON HAI SENTITO? È FINITA SU QUALCHE GIORNALE, QUESTA STORIA… E MI HANNO DETTO CHE CIRCOLA PURE SU QUELLA VOSTRA INTERNET…”
“NON NE SO NIENTE, GORAN.”
GORAN SI SISTEMÒ SULLA SEDIA, LIBERÒ LA GOLA DAL CATARRO.
“LA MALEDIZIONE DI DOBROVIČI: QUANDO UN UOMO È VICINO ALLA FINE, I GIOVANI DEL VILLAGGIO LO PORTANO IN UNA GROTTA SULLA MONTAGNA, E NELLA GROTTA DICONO CHE ABITI UN UOMO DI MEDICINA, CHE PORTA VIA IL DOLORE…”
SI STAVA FACENDO BUIO, E LA MOGLIE DI GORAN SI ERA MESSA A CHIUDERE GLI SCURI DELLE FINESTRE.
“IRONICO AVER DATO IL SANGUE PER SCONFIGGERE I TURCHI, SOLO PER TROVARSI A DOVER SOCCOMBERE A QUESTE SUPERSTIZIONI PAGANE…”
MENTRE ASCOLTAVO GORAN, NON POTEVO FARE A MENO DI RAMMENTARE LE ULTIME PAROLE DI BOGDAN, QUANDO MI AVEVA DETTO CHE IN FONDO ERANO UGUALI, LORO DUE. E COMINCIAI A PENSARE CHE FORSE, IN REALTÀ, STANDO INSIEME TUTTI QUEI BREVI, INTENSI ANNI, ERANO CAMBIATI ENTRAMBI: BOGDAN ERA DIVENTATO UN UOMO MENO COMPLESSO, PIÙ ISTINTIVO, MENTRE GORAN SI ERA FATTO PIÙ SOFISTICATO, PIÙ ATTENTO AI DETTAGLI E ALLE SFUMATURE DI GRIGIO.
“SE È COME DICI TU, NON MI DISPIACEREBBE ANDARE A DARE UN’OCCHIATA, ANCHE SOLO PER CURIOSITÀ…”
GORAN SI ERA ACCESO UN SIGARO: “ASPETTA DOMATTINA, ALMENO… TI FACCIO PREPARARE UN LETTO…”
SCAMBIAI UNO SGUARDO D’INTESA CON LA MOGLIE: “NON VOGLIO APPROFITTARMI TROPPO, GORAN. MI TROVO UN POSTO PER DORMIRE IN PAESE, E TORNO DOMATTINA A SALUTARTI.”
“COME PREFERISCI, FABIJE. MA STAI ATTENTO, NON VORREI CHE CI FOSSE DAVVERO QUALCOSA DI PERICOLOSO LASSÙ.”
“SE LE COSE STANNO COME PENSO IO, C’È SICURAMENTE QUALCOSA DI PERICOLOSO.”
[…]
ERA ORMAI CREPUSCOLO INOLTRATO, QUANDO COMINCIAI AD INERPICARMI SULLO STRETTO SENTIERO CHE RISALIVA A SPIRALE LA MONTAGNA.
INCROCIAI UNA PROCESSIONE DI UNA DOZZINA DI PERSONE, FIACCOLE IN MANO, CHE REGGEVANO UNA LETTIGA VUOTA. MI LANCIARONO DELLE OCCHIATE DI FREDDA INDIFFERENZA, MENTRE PROCEDEVO OLTRE.
L’INGRESSO DELLA GROTTA ERA ILLUMINATO DALLA LUNA PIENA, E DALL’INTERNO PROVENIVANO RUMORI SORDI, COME DI PESI TRASCINATI SUL TERRENO.
QUANDO ENTRAI, EZIO GREGGIO ERA LÌ, PIEGATO SUL CORPO DI UN UOMO: DALLA SUA LINGUA BIFIDA USCIVA UN MATERIALE BIANCASTRO, FILAMENTOSO, IN CUI STAVA AVVOLGENDO LA SUA VITTIMA.
ALZÒ IL CAPO PER GUARDARMI: I SUOI OCCHI VERDI LUCCICAVANO NEL BUIO.
ESTRASSI LA MIA NOVE MILLIMETRI E GLIELA PUNTAI CONTRO.
“FABIO, SEI VENUTO A PERSEGUITARMI FIN QUI?” SIBILÒ GREGGIO.
“COSA PENSI DI OTTENERE?”, RISPOSI TIRANDO INDIETRO IL CANE, “SONO UOMINI ANZIANI E MALATI.”
GREGGIO SI ALZÒ IN PIEDI, INTERROMPENDO LA SUA BIECA ATTIVITÀ.
“GIÀ… NON POSSONO NUTRIRMI CON LA STESSA ENERGIA UROLOGICA DELLE MIE SOLITE VITTIME, MA BASTANO A TENERMI IN VITA… LONTANO DAL SOLE.”
“GIÙ AL VILLAGGIO CREDONO CHE TU PORTI VIA IL LORO DOLORE.”
IL BRACCIO DELL’UOMO DISTESO AL SUOLO SI CONTORSE IN UNO SPASMO.
“È VERO, È QUELLO CHE FACCIO.”
“SOLO PER IMMERGERLI IN UN ALTRO DOLORE… SENZA FINE.”
GREGGIO SCOSSE LA TESTA.
“VIENI CON ME, FABIO… TI FACCIO VEDERE UNA COSA…”
LO SEGUII IN UNO STRETTO PASSAGGIO NELLE PROFONDITÀ DELLA MONTAGNA: DOPO UNA VENTINA DI METRI IL CUNICOLO SI APRIVA IN UN’AMPIA CAVERNA, UNA GIGANTESCA CONCA SOTTERRANEA.
CI SPORGEMMO DA UNO SPERONE ROCCIOSO: IL FONDO DELLA CONCA ERA RICOLMO DI CADAVERI, AVVOLTI COME MUMMIE NELLA VISCIDA RAGNATELA BIANCA DI GREGGIO.
EZIO LI GUARDAVA SORRIDENDO.
“QUESTA È LA TUA IDEA DI TOGLIERE IL DOLORE?”
“NON HANNO PIÙ LA COSCIENZA PER PROVARE DOLORE, FABIO: PASSANO I LORO ULTIMI MESI IN UN LIMBO TRA LA VITA E LA MORTE, SENZA LE COMPLICAZIONI DEL PENSIERO UMANO, REGREDITI ALLA LORO FORMA PRIMORDIALE DI MILIONI DI ANNI FA. GUARDALI: SONO LIBERI… FELICI…”
ALCUNI SEMBRAVANO ANCORA VIVI: SI CONTORCEVANO L’UNO ATTORNO ALL’ALTRO, COME IN UN GROVIGLIO DI VERMI, ILLUMINATI DAI RIFLESSI CANDIDI DEI CRISTALLI DI QUARZO.
“METTITI IN GINOCCHIO, EZIO.”
GREGGIO SOSPIRÒ:
“SONO UN MOSTRO, FABIO, MA UN MOSTRO VECCHIO E STANCO… E SO CHE ANCHE TU LO SEI. NON POSSIAMO SEMPLICEMENTE LASCIARCI IN PACE? DIMENTICARCI L’UNO DELL’ALTRO?”
“IN GINOCCHIO PER FAVORE…”
EZIO SI INGINOCCHIÒ DI FRONTE A ME.
GLI PUNTAI LA CANNA CONTRO LA FRONTE; I SUOI OCCHI VERDI BRILLAVANO DI LUCE PROPRIA, NEL BUIO PROFONDO DELLA CAVERNA.
“COSA VUOI FARE? SPARARMI? SAI BENE CHE RITORNERÒ…”
“CERTO CHE LO SO.”
TIRAI IL GRILLETTO, E IL PROIETTILE TRAPASSÒ IL CRANIO DI GREGGIO DA PARTE A PARTE, RIMBALZANDO SULLA ROCCIA. IL SUO CORPO SI ACCASCIÒ A TERRA ESANGUE, E DOPO POCHI SECONDI SI DECOMPOSE IN CENTINAIA DI FALENE, CHE VOLARONO LESTE VERSO IL CIELO DELLA NOTTE.
ASPETTAI L’ALBA SULLA CIMA DELLA MONTAGNA.
QUELLA MATTINA, QUANDO SCESI IN PAESE, DELLE DONNE STAVANO BALLANDO IN CERCHIO, AGITANDO LE GONNE AL SUONO DELLA FISARMONICA.
MI FERMAI DA GORAN A SALUTARLO, E MI OFFRÌ UN BICCHIERE DI RAKIJA.
LO TROVAI PIÙ AMARO DEL SOLITO, E GLI CHIESI SE POTEVO PORTARNE A CASA UNA BOTTIGLIA.

LA CENA DI CLASSE

NON AMO GUARDARMI ALLE SPALLE: L’ESPERIENZA HA RADICATO IN ME LA CONVINZIONE CHE SE UNA PERSONA SENTE IL BISOGNO DI GUARDARSI INDIETRO SIGNIFICA CHE CIÒ CHE HA DAVANTI, IN FONDO, NON È MOLTO INCORAGGIANTE. E PER UN UOMO DI SUCCESSO COME ME UN ATTEGGIAMENTO DEL GENERE È INUTILE, SE NON CONTROPRODUCENTE.

E COSÌ CHE CERCO DI VIVERE, ALMENO NELLE INTENZIONI.

MA, A ONOR DEL VERO, MI RENDO CONTO DI NON ESSERE AFFATTO IMMUNE AL CANTO DI QUELLE SIRENE, AL PIACERE COLPEVOLE CHE SI PROVA QUANDO IL BRIVIDO DEL PASSATO RISALE LA SPINA DORSALE, LA CONFERMA AMARA CHE UNA PARTE DI SE STESSI SI È PERSA PER SEMPRE E, NEL BENE E NEL MALE, SI È CRISTALLIZZATA IN UN RICORDO INERTE.

IMMAGINERETE PERTANTO QUALI SENTIMENTI CONTRASTANTI AVESSE SUSCITATO IN ME IL RICEVERE, QUALCHE TEMPO FA, L’INVITO AD UNA CENA CON I MIEI VECCHI COMPAGNI DI LICEO.

IO, CHE ROVISTANDO TRA LA POSTA SONO ABITUATO A TROVARE SOLO BOLLETTE E COMUNICAZIONI DELLA RAI, MI IMBATTEI IN UNA LETTERA SCRITTA DA UNA PERSONA IN CARNE ED OSSA.

CHI SCRIVE PIÙ LETTERE, DI QUESTI TEMPI?

RICONOBBI LA CALLIGRAFIA PRIMA ANCORA DI ARRIVARE ALLA FINE, A QUEL “A PRESTO, GIANMAURO” CHE SAPEVA TANTO DI INTIMAZIONE. ERA PIÙ INCERTO E TREMOLANTE, FORSE PIÙ SAGGIO, MA ERA INDUBBIAMENTE IL TRATTO DEL MIO VECCHIO AMICO.

CHIAMAI PIERGIORGIO, PER CAPIRCI QUALCOSA DI PIÙ. MI DISSE CHE -SÌ- SAREBBE STATA UNA GRANDE RIMPATRIATA, CHE CI SAREBBERO STATI TUTTI, E CHE GIANMAURO NON AVREBBE ACCETTATO SCUSE.

“SO DI FARE APPELLO AL TUO BUON CUORE FABIO. DEL RESTO NON VORRAI MICA FARMI ANDARE DA SOLO? DAI CAZZO…”

TIRAI UN SOSPIRO DI RASSEGNAZIONE: “TI PASSO A PRENDERE.”

APPENA FUORI SAVONA LA STRADA SI INERPICAVA TRA I COLLI, TUFFANDOSI NELLA CALMA DELLA CAMPAGNA.

MI SENTIVO STRANAMENTE INQUIETO, PROBABILMENTE AL PENSIERO DEI SILENZI IMBARAZZANTI CHE SI SAREBBERO CREATI FRA ME E QUELLA GENTE CHE NON VEDEVO DA SECOLI. MA C’ERA ANCHE QUALCOS’ALTRO.

“NON SAPEVO CHE GIANMAURO SI FOSSE TRASFERITO.”

PIERGIORGIO, A DIFFERENZA DI ME, PAREVA ASSOLUTAMENTE TRANQUILLO: “È UNA COSA DI QUALCHE ANNO FA; HA TRASLOCATO QUI SUBITO DOPO IL MATRIMONIO.”

“IL MATRIMONIO?”

“SÌ, NON TE L’HANNO DETTO? CON UNA DONNA LIBANESE, MI PARE…”

“MA PENSA UN PO’ QUEL VECCHIO MATTO…”

“ED È PURE UNA GRAN BELLA CASA… ECCO, GUARDA, CI SIAMO…”
OLTRE IL CANCELLO D’INGRESSO SI APRIVA UN BREVE VIALETTO FIANCHEGGIATO DA DUE FILE DI SALICI; E NELLO SPIAZZO DI FRONTE ALLA CASA ERANO GIÀ PARCHEGGIATE UN PAIO DI MACCHINE.

ERA UNA VILLETTA IN STILE LIBERTY, CON UN PRATO BEN CURATO CIRCONDATO DA SIEPI ALTE, A SEGNARE IL CONFINE. IL PORTONE ERA INCORNICIATO DA DUE GLICINI, E SULLA PARETE SI ABBARBICAVA TENACE L’EDERA SELVAGGIA.

AVEVA UN CHE DI RITIRO MALINCONICO, DI ISOLATO, COME SE GIANMAURO AVESSE DECISO CHE IL MONDO NON FACEVA PIÙ PER LUI; ED ERA UNA COSA CHE CONTRASTAVA IN MODO NETTO CON LA PERSONA CHE RICORDAVO.

“FABIO! PIERGIORGIO!”

IL PADRONE DI CASA SI ERA MATERIALIZZATO SULLA SOGLIA, AL FIANCO DI UNA BELLA SIGNORA DALLA CARNAGIONE OLIVASTRA: AVEVA I CAPELLI ORMAI BRIZZOLATI, E SI ERA FATTO CRESCERE UNA FOLTA BARBA; SEMBRAVA PIÙ MAGRO DALL’ULTIMA VOLTA CHE L’AVEVO VISTO; IL VOLTO APPARIVA EMACIATO, CONSUNTO, E DOVE MI ASPETTAVO DI TROVARE LE SUE VECCHIE GUANCE PAFFUTE ORA DOMINAVANO DEGLI ZIGOMI SEVERI.

INOLTRE SI APPOGGIAVA AD UN BASTONE DI LEGNO, PIÙ PER VEZZO CHE PER NECESSITÀ, AVEVO SENTITO, E PAREVA PERSINO UN PO’ CURVO; MA FORSE MI STAVO SUGGESTIONANDO DA SOLO…

“GIANMAURO, NON SEI INVECCHIATO DI UN GIORNO…”

“VENITE, ENTRATE. DENTRO CI SONO GLI ALTRI… HANA HA PREPARATO UN APERITIVO.”

L’ATRIO ERA AMPIO, ILLUMINATO DA UN GRANDE LAMPADARIO E ZEPPO DI QUADRI E MOBILI ANTICHI.

PAOLA E PIERFRANCO CI VENNERO INCONTRO RAGGIANTI.

SI ERANO SPOSATI ED ERANO GIÀ AL SECONDO FIGLIO: ANCHE PER LORO LE PERIPEZIE DELLA GIOVINEZZA AVEVANO CEDUTO IL POSTO ALLA GRIGIA RESPONSABILITÀ DELL’ETÀ ADULTA.

E PAOLA NON ERA PIÙ LA STESSA: LE SUE FAMIGERATE ROTONDITÀ SI ERANO LASCIATE AFFLOSCIARE DALL’INTEMPERIA DEGLI ANNI.

CI SCAMBIAMMO QUALCHE FRASE DI CIRCOSTANZA. FINSI DI ASCOLTARLA E DI ANNUIRE, MENTRE MI RACCONTAVA DELLA GRAVIDANZA, DEL LAVORO, DELLA FELICITÀ DI AVERE UN PARGOLO TRA LE BRACCIA PER LA PRIMA VOLTA: IN REALTÀ MI STAVO CHIEDENDO SE NON RIMPIANGESSE DI AVER SCELTO PIERFRANCO, INVECE DI ME; MA QUEI PENSIERI DI BASSA RIVALSA NON SI CONFACEVANO AL MIO ORGOGLIO…

CI INTERRUPPE HANA, RECANDOCI UN VASSOIO DI CALICI DI CAMPARI: APPROFITTAI DELL’ATTIMO DI DISTRAZIONE PER SGATTAIOLARE VIA -COL MIO APERITIVO- IN UNA STANZA LATERALE.

ERA UNA SALA UN PO’ PIÙ SPOGLIA DELLE ALTRE, CON LA PARETE DOMINATA DA UN FRAMMENTO DI BASSORILIEVO: UNA FOLLA DI UOMINI IN GINOCCHIO DI FRONTE AD UN TRONO, IN ADORAZIONE; SUL TRONO ERA ASSISA UNA FIGURA GROTTESCA, DAL CORPO IN PARTE UMANO E IN PARTE FERINO; CERCAI DI CAPIRE A QUALE PERSONAGGIO MITOLOGICO POTESSE RIFERIRSI, MA NEL PUNTO CHE CORRISPONDEVA AL VOLTO LA PIETRA ERA STATA SCHEGGIATA VIA A COLPI DI SCALPELLO…

“GLI ISRAELITI VENERANO UNO DEGLI DEI DI CANAAN, PRIMA CHE YAWHEH, L’UNICO, STABILISCA IL SUO DOMINIO SUGLI ALTRI…”

“GIANMAURO… SCUSA SE MI SONO MESSO A CURIOSARE IN GIRO…”

“FIGURATI FABIO… DA QUANDO CI SONO TUTTE QUESTE GUERRE, IN MEDIO ORIENTE, DAL MERCATO NERO DELLE ANTICHITÀ ARRIVANO ROBE DAVVERO DI PREGIO… NON COME PRIMA, QUANDO ERANO TUTTI FALSI O CIANFRUSAGLIE…”

“QUINDI È QUESTO CHE FAI ADESSO?”

“GIÀ… HO COMINCIATO SUBITO DOPO IL DIPLOMA. ALL’INIZIO È STATO DIFFICILE, MA UNA VOLTA CHE ENTRI NEL GIRO DIVENTA PARTICOLARMENTE REDDITIZIO, COME PUOI VEDERE.”

“LO VEDO ECCOME… NON MI DISPIACE QUESTO GENERE DI COSE, TI DIRÒ… QUESTO PEZZO A QUANTO LO FAI?”

“OH QUESTO NON LO VENDO, FABIO”, MORMORÒ GIANMAURO PICCHIETTANDO CON LE DITA SUL SUO CALICE, “QUESTO È UN OGGETTO SACRO… NON POSSO VENDERE LE COSE SACRE… È UNA COSA CHE DISSE UNA VOLTA IL PROFESSOR PERTUGI, SE RICORDI…”

SENTIVO CHE MI STAVA OSSERVANDO, NEL TENTATIVO DI INCROCIARE IL MIO SGUARDO, MA IO MANTENNI GLI OCCHI FISSI SUL BASSORILIEVO: IL SUO TONO DI VOCE MI TURBAVA.

“NO, A DIRE IL VERO… NON RICORDO.”

“DISSE CHE L’UNICO VERO ASPETTO CHE DISTINGUE GLI UOMINI DALLE BESTIE È IL RISPETTO PER LE COSE SACRE.”

MI GIRAI VERSO DI LUI CON UN SORRISO NERVOSO: “AH… PENSAVO FOSSERO LA SCIENZA, LA RAGIONE, E IL FATTO CHE NON CI TIRIAMO MERDA ADDOSSO L’UN L’ALTRO EMETTENDO VERSI GUTTURALI…”

GIANMAURO SOGGHIGNÒ: “MA SÌ CHE LO FACCIAMO FABIO, SOLO IN MODO PIÙ SOTTILE E RAFFINATO… NO, SECONDO ME È COME DICEVA PERTUGI… SAI, MI SONO TROVATO A PENSARE SPESSO A LUI IN QUESTI ANNI: CREDO SIA LA RAGIONE PER CUI SONO DIVENTATO PIÙ RELIGIOSO, INVECCHIANDO…”

“SEI DIVENTATO PIÙ RELIGIOSO?”

“BEH, NON NEL SENSO TRADIZIONALE DEL TERMINE… DIREI PIÙ PIO CHE RELIGIOSO… MA CREDO DI SÌ. DEL RESTO È INEVITABILE PER TUTTI. A TE NON È CAPITATO, FABIO?”

“NO, NON DIREI. HO TROVATO ALTRI MODI PER INCANALARE IL MIO MALESSERE.”

“TIPO?”

“SAI, LA TELEVISIONE…”

“OH CERTO…”

RIMASE IN SILENZIO A GUARDARMI PER QUALCHE SECONDO, COME SE VOLESSE DIRMI QUALCOSA DI IMPORTANTE MA UNA FORZA MISTERIOSA LO STESSE TRATTENENDO.

SORRISE.

“VIENI FABIO… LA CENA È QUASI PRONTA.”

INTORNO ALLA TAVOLA DI MOGANO LEVIGATO ERAVAMO SOLO NOI CINQUE, QUANDO HANA ARRIVÒ A SERVIRCI UN’INVITANTE BATTUTA DI FASSONA.

“MA NON DOVEVAMO ESSERCI TUTTI?”

GIANMAURO ALZÒ LE SPALLE: “POCHI MA BUONI. OGNUNO HA I SUOI IMPEGNI, FABIO…”

“GIANCARLO HA AVUTO UN ICTUS IL MESE SCORSO”, OSSERVÒ PIERGIORGIO.

“NOOOO…” CINQUETTARONO ALL’UNISONO PAOLA E PIERFRANCO, CON UN TONO DI ARTIFICIALE COMPASSIONE.

“PROPRIO COSÌ… PENSO STIA ANCORA RECUPERANDO.”

“LE STRADE SI DIVARICANO… SI PERDONO… E QUALCUNA FINISCE”, MORMORÒ GIANMAURO, “STAVO PROPRIO PARLANDO CON FABIO DEL BUON VECCHIO PROF. PERTUGI.”

“AHAHAH… E CHI SE LO DIMENTICA QUELLO!” ESCLAMÒ PIERFRANCO, “COM’ERA IL NOMIGNOLO CHE TI AVEVA DATO, FABIO?”

“FABIO CAGARELLA”, RISPOSI CON UN SORRISO IMBARAZZATO, “NON PARTICOLARMENTE ACCADEMICO.”

“SCOMPARVE APPENA PRIMA DEI NOSTRI ESAMI DI MATURITÀ, VI RICORDATE?” OSSERVÒ PAOLA.

PIERFRANCO ALZÒ IL BICCHIERE IN ALTO: “UN BEL COLPO DI FORTUNA PER TUTTI, A MIO PARERE.”

“SÌ MA CHE FINE HA FATTO?” PROSEGUÌ GIANMAURO, “TU SEI STATO UNO DEGLI ULTIMI A VEDERLO, FABIO, QUEL GIORNO NEL SUO UFFICIO…”

“NON SAPREI”, RISPOSI TENENDO LO SGUARDO IN BASSO SULLA MIA FASSONA, “A VOLTE LE PERSONE SCOMPAIONO SEMPLICEMENTE… NEL NULLA…”

“GIÀ… NEL NULLA… CAPITA SPESSO ALLA GENTE CHE TI È VICINA, VERO FABIO?”

ALZAI LO SGUARDO VERSO GIANMAURO: SAPEVO CHE MI STAVA FISSANDO; LO AVEVA FATTO PER TUTTA LA SERATA. MA ORA LA SENSAZIONE DI ESTRANEITÀ DI QUEI PICCOLI OCCHI SCURI SI ERA FATTA PIÙ INTENSA CHE MAI: LI SENTIVO SCANDAGLIARE I MIEI PENSIERI, ALLA RICERCA DI UN PUNTO DEBOLE.

“GIANMAURO, A CHE GIOCO STAI GIOCANDO? CI CHIAMI QUI PER UNA SERATA TRANQUILLA FRA AMICI, E POI TIRI FUORI QUESTE COSE? AVEVAMO DECISO DI NON PARLARNE! CHE COSA TI È PRESO?”

UN SILENZIO TESO CALÒ NELLA SALA, MENTRE CI FISSAVAMO DA UN CAPO ALL’ALTRO DELLA TAVOLA.

“FANTASTICA QUESTA FASSONA!” BORBOTTÒ IMBARAZZATO PIERFRANCO, “MA C’È QUALCHE SALSA CHE NON RIESCO A RICONOSCERE…”

“OH, MERITO DELLA MIA HANA”, RISPOSE GIANMAURO SENZA TOGLIERMI GLI OCCHI DI DOSSO.

“AH QUINDI È UNA ROBA… LIBANESE? HANA, LEI È DEL LIBANO, NO?”

HANA RIMASE IN SILENZIO.

IN EFFETTI NON AVEVA SPICCICATO PAROLA PER TUTTA LA SERATA: ALL’INIZIO AVEVO PENSATO FOSSE PER TIMIDEZZA, O PER IGNORANZA DELLA LINGUA; MA IN QUEL MOMENTO MI SOVVENNE QUANTO FOSSE SOSPETTO CHE NON AVESSE PROVATO NEANCHE A RIVOLGERCI UN SALUTO DI BENVENUTO.

“SIRIA, EGITTO?”

“HANA NON SA DOV’È NATA. SA SOLO CHE È STATO MOLTO TEMPO FA…”

“SE È STATO MOLTO TEMPO FA, I MIEI COMPLIMENTI: NON LE DO PIÙ DI TRENT’ANNI! DOVRESTI BACIARTI I GOMITI, GIANMAURO!”

GIANMAURO PRESE A SFREGARSI LE MANI:

“NO, VEDETE… NON HA UN’ETÀ CHE PUÒ ESSERE QUANTIFICATA IN ANNI… DAL MOMENTO CHE È NATA PRIMA CHE ESISTESSE IL CONCETTO DI ANNI…”

SCATTAI IN PIEDI: “BENE, SI È FATTO TARDI GIANMAURO. NON TI DISPIACERÀ SE LEVIAMO LE TENDE…”

“MA COME? DEVE ANCORA ARRIVARE IL DOLCE!”

“PENSO CHE SALTEREMO PER STAVOLTA”, REPLICÒ PIERGIORGIO SEGUENDOMI A RUOTA.

ALL’IMPROVVISO LA LUCE SI SPENSE, LASCIANDO LA SALA SEMI-ILLUMINATA DAL TENUE BAGLIORE DEL CREPUSCOLO.

UNA VOCE PROFONDA, DISTORTA E INUMANA, MA AL TEMPO STESSO FAMILIARE, MI RAGGELÒ IL SANGUE NELLE VENE: “CREDO PROPRIO CHE TU DEBBA RESTARE PER IL DOLCE, FABIO.”

CI GIRAMMO VERSO HANA: MA AL SUO POSTO, A TAVOLA, NON C’ERA PIÙ LA BELLA RAGAZZA DAI TRATTI LEVANTINI.

“EZIO GREGGIO! GIANMAURO, SCAPPA! È GREGGIO!”

“PERCHÉ DOVREI?” GHIGNÒ NEL BUIO GIANMAURO, “CREDO TU ABBIA FRAINTESO LA SITUAZIONE.”

IO E PIERGIORGIO CI GUARDAMMO SBIGOTTITI.

“SEI DALLA SUA PARTE?” GLI URLAI, “MA PERCHÉ? PERCHÉ LO HAI FATTO!”

MENTRE GREGGIO MI GUARDAVA CON LA SUA FERALE SMORFIA, NOTAI CON ORRORE CHE DAL SUO DORSO STAVANO SPUNTANDO DECINE DI TENTACOLI IMMENSI E VISCIDI.

“PER DIO, STA ASSUMENDO LA SUA FORMA DI POLPO!!!”, ESCLAMÒ PIERGIORGIO.

“TI SBAGLI, PIERGIORGIO”, SGHIGNAZZÒ GREGGIO NEL SUO TONO LUGUBRE, “QUESTA È LA MIA FORMA DI MOSCARDINO INFERNALE!”

VEDENDO QUELLO SPETTACOLO RACCAPRICCIANTE, PAOLA SI MISE A GRIDARE DI TERRORE.

IN UN ISTANTE, GREGGIO PROIETTÒ UNO DEI SUOI TENTACOLI NELLA GOLA SPALANCATA DELLA DONNA, TRAPASSANDOLA DA PARTE A PARTE ED EMERGENDO DALLA NUCA IN MILLE SCHIZZI DI SANGUE E MATERIA CEREBRALE.

ORRIPILATO E SCONVOLTO, PIERFRANCO EBBE UN BUONO SCATTO DI RIFLESSI: SI ALZÒ IN PIEDI E PIANTÒ IL COLTELLO NEL TENTACOLO CHE AVEVA APPENA PERFORATO SUA MOGLIE.

GREGGIO EMISE UN LATRATO SINISTRO, MA CON UN ALTRO TENTACOLO AVVINGHIÒ L’UOMO IN UNA MORSA LETALE: TALMENTE FORTE FU LA PRESSIONE CHE GLI OCCHI DI PIERFRANCO SCOPPIARONO FUORI DALLE ORBITE, SEGUITI DA DUE POTENTI GETTI DI SANGUE.

“MI CHIEDI PERCHÉ, FABIO? MA NON TI VEDI? LÌ, SORRIDENTE NEL TUO SALOTTINO DEL CAZZO: HO SEMPRE ODIATO LA TUA NORMALITÀ. VOLEVO QUALCOSA DI PIÙ DI TUTTI GLI ALTRI, VOLEVO QUALCOSA DI PROFONDO E DI ANTICO: ERA QUESTO CHE PERTUGI CI AVEVA INSEGNATO.”

“NON PUOI SAPERE QUELLO CHE VOLEVA PERTUGI, GIANMAURO…”

“E INVECE LO SO, FABIO. PER ANNI, DECENNI, HO STUDIATO LE SUE CARTE. SAPEVA CHE C’ERA QUALCOSA DI PIÙ A QUESTO MONDO: UNA FORZA IN GRADO DI PURIFICARE L’UMANITÀ… DI DARCI LA POSSIBILITÀ DI UN NUOVO INIZIO.”

ALLUNGAI UNA MANO VERSO IL COLTELLO, MA SENTII IL TENTACOLO DI GREGGIO AFFERRARMI, AVVOLGERMI E SOLLEVARMI IN ARIA.

MI GUARDAI ATTORNO: ANCHE PIERGIORGIO ERA PRIGIONIERO DELLE SPIRE.

“ASCOLTA IL TUO AMICO: NON SIAMO POI COSÌ DIVERSI, TU ED IO,” GORGOGLIÒ GREGGIO, “SE TI UNISCI A ME VOLONTARIAMENTE, FABIO, LA COMBINAZIONE DEI NOSTRI POTERI TELEVISIVI NON AVRÀ OSTACOLI: ESTENDEREMO IL NOSTRO DOMINIO SULLE NAZIONI, RENDEREMO GLI UOMINI SCHIAVI, E I FIGLI DEGLI UOMINI NUTRIRANNO IL MIO DESIDERIO DI SEME NEI SECOLI, FINO ALLA FINE DEI TEMPI… E TU SARAI AL MIO FIANCO, SIGNORE E SOVRANO DI TUTTE LE FREQUENZE… NOI DUE, SOLI…”

“EHI, QUESTO NON ERA QUELLO CHE AVEVAMO PATTUITO!” ESCLAMÒ GIANMAURO.

UN TENTACOLO LO AVVILUPPÒ IN FRETTA, ZITTENDOLO.

“HO CAMBIATO IDEA”, REPLICÒ GREGGIO, “PREGA CHE NON LA CAMBI UN’ALTRA VOLTA… ALLORA FABIO… CHE NE DICI DELLA MIA OFFERTA?”

LA SUA PRESA SI ERA FATTA ANCORA PIÙ STRETTA.

“MI DISPIACE EZIO… MA HO FATTO LA MIA SCELTA MOLTO TEMPO FA… E HO SCELTO LA RAI…”

IL GIGANTESCO MOSCARDINO GRUGNÌ INFASTIDITO: “E COSÌ SIA FABIO… DEL RESTO UN PO’ CI SPERAVO IN FONDO… COSÌ FINALMENTE AVRÒ IL TUO DELIZIOSO SQUACQUERONE…”

SENTII CHE LE MIE OSSA COMINCIAVANO A SCRICCHIOLARE, STRITOLATE DALLE SPIRE: ERA LA FINE.

POI, PROPRIO MENTRE STAVO PERDENDO I SENSI, UDII UNA VOCE ALZARSI FLEBILE NELLA SALA, UNA VOCE CHE RIPETEVA DI CONTINUO LA STESSA PAROLA, ED OGNI VOLTA CHE LA PAROLA VENIVA RIPETUTA, LA PRESA DELLE SPIRE SI ALLENTAVA. NON CAPII CHE PAROLA FOSSE, NON SEMBRAVA APPARTENERE AD ALCUN LINGUAGGIO UMANO, MA RICONOBBI CHI LA STAVA PRONUNCIANDO: ERA GIANMAURO.

IL TENTACOLO MI LASCIÒ CADERE A TERRA: VIDI L’EMPIO MOSCARDINO STRISCIARE VIA, PASSANDO DALLA FINESTRA E SUPERANDO LA SIEPE, PER DILEGUARSI NEL BUIO DELLA CAMPAGNA LIGURE.

AIUTAI PIERGIORGIO AD ALZARSI, E CORREMMO DA GIANMAURO. SEMBRAVA RIDOTTO MALE: AVEVA LA GABBIA TORACICA FRACASSATA, E STAVA SPUTANDO SANGUE.

“STAI FERMO, GIANMAURO. TI CHIAMIAMO UN’AMBULANZA…”

“SONO STATO UN INGENUO… UN INGENUO, FABIO”, MORMORÒ CON UN FILO DI VOCE.

“NON TI PREOCCUPARE, AMICO MIO, TUTTO È PERDONATO. CI HAI SALVATI…”

“SÌ, MA COME AVRÀ FATTO?” SUSSURRÒ PIERGIORGIO.

“HO PRONUNCIATO IL SUO NOME NELL’ANTICA LINGUA DI MEDIASET… È UNA COSA CHE DETESTA…” RANTOLÒ GIANMAURO, AGGRAPPANDOSI ALLA MIA CAMICIA, “FABIO… MI DISPIACE… MI DISPIACE TANTO…”

VIDI I SUOI OCCHI SPEGNERSI, E GLI ABBASSAI LE PALPEBRE.

PREPARAMMO UNA PIRA NEL GIARDINO DELLA CASA: MENTRE IL CORPO DI GIANMAURO BRUCIAVA, E IL SUO SPIRITO RAGGIUNGEVA GLI ANTENATI, MI INTERROGAVO SU QUEL MALE ANTICO CHE LO AVEVA TENUTO SCHIAVO PER COSÌ TANTI ANNI.

E NON POTEI FARE A MENO DI CHIEDERMI: ERA PER DEBOLEZZA CHE AVEVA CEDUTO ALLA TENTAZIONE DELLE TENEBRE, O PER SCELTA?

CRONACHE DEL VALLO

DI LÀ DAL VALLO, IL VENTO GELIDO SFERZAVA SENZA PIETÀ LE COLLINE BRULLE, E PIÙ AVANTI, DOVE LA VEGETAZIONE SI INFITTIVA NELLE BUIE FORESTE DEL NORD, SI METTEVA A FISCHIARE E A ULULARE TRA LE FOGLIE, FONDENDOSI CON GLI ALTRI SUONI DEL BOSCO IN UN LUGUBRE CONCERTO.

NONOSTANTE FOSSE NOTTE INOLTRATA, LA LUNA PIENA ILLUMINAVA A GIORNO LA DISTESA DELLA BRUGHIERA, E I SUOI RAGGI CERCAVANO PERFINO DI TRAFIGGERE LA DENSA BOSCAGLIA, RIUSCENDO SOLO A SPRAZZI A DENUNDARNE I SEGRETI. A QUINTO, CHE AGUZZAVA LA VISTA PER COGLIERE QUALSIASI MOVIMENTO IN LONTANANZA, PAREVA DI INTRAVEDERE DELLE FORME BALUGINARE NELL’OSCURITÀ FRA I TRONCHI DEGLI ALBERI: CERVI E CINGHIALI, SI DICEVA, MA PER UN MISTO DI STANCHEZZA E DI INQUIETUDINE NON RIUSCIVA A TOGLIERSI DI DOSSO QUELLA SENSAZIONE. LA SENSAZIONE DI ESSERE OSSERVATO.

“QUESTI PITTI NON HANNO ONORE”, BOFONCHIÒ FLAVIO, “SONO CAPACI SOLO DI TENDERE IMBOSCATE E TORNARE SUBITO A NASCONDERSI. DATEMI UNA BATTAGLIA CAMPALE, DIECI DI LORO PER OGNI ROMANO, E TE LI SISTEMO UNA VOLTA PER TUTTE.”

FLAVIO RAVVIVAVA LA BRACE CON UN BASTONE: SOPRA LE FIAMME, INFILZATO SU UN LUNGO SPIEDO, IL CONIGLIO SCUOIATO QUELLA SERA STAVA GIÀ ACQUISENDO UN INVITANTE COLORE MARRONE.

DECIO, IN PIEDI DAVANTI AL FUOCO, SGHIGNAZZAVA A BRACCIA CONSERTE: “DIECI DI LORO PER OGNI ROMANO? DOVE HAI IMPARATO A CONTARE COSÌ BENE?”

“GUARDA CHE IO SONO ISTRUITO”, REPLICÒ FLAVIO SPUTANDO NEL BUIO UN AGGLOMERATO DI CATARRO, “NON QUANTO IL GIOVANE QUINTO QUI, MA SONO ISTRUITO. E POI HO COMBATTUTO IN PARTIA. E I PARTI FANNO SCHIFO, È VERO, MA SE CATTURANO UN UFFICIALE LO RISPETTANO.”

“AHAHAH, E MENO MALE CHE SEI ISTRUITO: VALLO A RACCONTARE A LICINIO CRASSO CHE RISPETTANO GLI UFFICIALI. E POI COSA TE NE FREGA? MICA SEI UN UFFICIALE TU.”

“NON ANCORA. MA HO LE MIE CONOSCENZE…”

“MI FAI RIDERE, FLAVIO. GUARDA DOVE SIAMO! PENSI DI FARE CARRIERA COME LIMITANEO? MARCIREMO DI FREDDO E DI UMIDITÀ IN QUESTA CLOACA DI POSTO, E LA CENTURIA TE LA DARANNO NEL CULO.”

“PULISCITI LA BOCCA PRIMA DI PARLARE, CHE MI FAI PERDERE IL FILO… COSA STAVO DICENDO? AH GIÀ… QUESTI PITTI SONO DELLE BESTIE INUMANE. NON TI DICO COSA HO SENTITO CHE FANNO AI PRIGIONIERI, PERCHÉ NON VORREI CHE QUINTO SI PISCIASSE NEI CALZONI… MA DELLE COSE RACCAPRICCIANTI. NON C’È TRATTATIVA CON QUESTA GENTE: BISOGNA PRENDERE UNA DECINA DI LEGIONI E BATTERE A TAPPETO LA CALEDONIA; STANARLI DA TUTTI I LORO BUCHI DEL CAZZO E CROCIFIGGERLI COME TOPI. E VEDRAI CHE IL PROBLEMA SI RISOLVE.”

“E SAI COSA HO SENTITO IO INVECE?” GHIGNÒ DECIO, “HO SENTITO CHE LE LORO DONNE SONO TANTO POSSENTI DI COSCIA QUANTO GLI UOMINI LO SONO DI SPADA.”

QUINTO, CHE FINO A QUEL MOMENTO ERA RIMASTO IN SILENZIO AD ASCOLTARE I DISCORSI DEI DUE, SI GIRÒ VERSO IL FUOCO.

“PAIONO INOFFENSIVE CON QUELLA PELLE BIANCA COME IL LATTE E I CAPELLI ROSSI COME VENERE, MA SE VEDONO UN ROMANO LO-”

“VENERE HA I CAPELLI ROSSI?” SALTÒ SU FLAVIO.

“CERTO, NON SEI MAI PASSATO IN QUEL SANTUARIO VICINO A MUTINA? COMUNQUE TE LO ASSICURO, SONO VORACI DI ROMANI, PERCHÉ I LORO UOMINI SONO SEMPRE A CACCIA O IN GUERRA E NON-”

“COME NOI.”

“COSA?”

“I LORO UOMINI SONO SEMPRE A CACCIA O IN GUERRA… COME NOI… VUOI DIRE CHE, MENTRE NOI SIAMO QUI AL PATIRE IL FREDDO, A CASA LA MIA PUBLIA E LA TUA LUCIA STANNO…?”

DECIO RIMASE UN ATTIMO IN SILENZIO.

“MA NON FARE PARAGONI DEL CAZZO, FLAVIO: STIAMO PARLANDO DI BARBARE, NON DI MATRONE ONORABILI. E POI, PER GLI DEI, LO VEDI CHE SEI TU CHE MI INTERROMPI SEMPRE! VOLEVO DIRE: CI VORREBBE UNA DI QUESTE CALEDONI PER SVEZZARE IL PICCOLO QUINTO, QUI.”

QUINTO SCOSSE LA TESTA, IMBARAZZATO.

“QUINTO NON HA ANCORA AFFONDATO IL COLPO” SOGGIUNSE DECIO BATTENDOGLI UNA MANO SULLA SPALLA, “MA SE LO PRENDE UNA DI QUELLE… OH… IL GIORNO DOPO NON TROVIAMO NEPPURE LE SUE OSSA.”

DECIO TRASSE UN RESPIRO PROFONDO E ALZÒ LO SGUARDO VERSO LA LUNA, CHE BRILLAVA ALTA NEL CIELO MAGICO DELLA BRITANNIA: “AAAAH, QUINTO! VIVI IN PIENO QUESTI ANNI, FINCHÉ PUOI, GLI ANNI IN CUI LE FANCIULLE SONO FRESCHE E DISPONIBILI, E DA TE NON CHIEDONO CHE AMORE… PERCHÉ POI INVECCHIERAI, E DOVRAI PAGARLE LE DONNE… IN ARGENTO O IN PAZIENZA… MA DOVRAI PAGARLE.”

FLAVIO ESPLOSE IN UNA RISATA CAVERNOSA, MENTRE GIRAVA LO SPIEDO SUL FUOCO: “AHAHAH… PER UNA VOLTA DA QUEL BECCO INFAME ESCONO PAROLE DI BUON SENSO! SEDETEVI FORZA, CHE IL CONIGLIO È PRONTO.”

I TRE UOMINI STAVANO STRAPPANDO BRANDELLI DELL’ARROSTO COI LORO PUGNALI, QUANDO UDIRONO UN RUMORE IN LONTANANZA.

SI AFFACCIARONO SULLA MURAGLIA: DAL BOSCO A OCCIDENTE EMERSE UNA MACCHIA NERA, CHE SI FECE PIÙ DISTINTA A MANO A MANO CHE SI AVVICINAVA ALLA LORO POSIZIONE. ERA UN BRANCO DI CERVI; PASSÒ DI FRONTE AI SOLDATI GALOPPANDO E SVANÌ ALL’ORIZZONTE.

“AH, SE AVESSI AVUTO IL MIO ARCO…” SOSPIRÒ FLAVIO.

DECIO GUARDÒ VERSO IL BOSCO CON ARIA SOSPETTOSA: “SARANNO TORNATI I LUPI, PER FARLI SCAPPARE COSÌ TUTTI INSIEME.”

“GUARDATE LÀ!”, ESCLAMÒ QUINTO INDICANDO CON UN DITO LA SEMIOSCURITÀ.

SU UNA COLLINETTA A MENO DI MEZZO MIGLIO DI DISTANZA SI STAGLIAVA, BEN DELINEATA CONTRO LA LUNA PIENA, UNA FIGURA ESILE, CON LUNGHI CAPELLI SCOMPIGLIATI DAL VENTO.

“E QUELLA CHE CI FA IN MEZZO AL NULLA IN PIENA NOTTE?” SBOTTÒ FLAVIO.

“NULLA DI STRANO, C’È UN VILLAGGIO QUI VICINO: SI SARÀ PERSA…”, DECIO SI VOLTÒ VERSO QUINTO, “PERCHÉ NON MANDIAMO IL GIOVANE A RIACCOMPAGNARLA A CASA?”

QUINTO EBBE UN SUSSULTO: “IO? DA SOLO?”

I DUE SGHIGNAZZARONO.

“SARÀ DIFFICILE TENERE TESTA DA SOLI A UNA RAGAZZA CALEDONE, IN EFFETTI. TI CHIAMO I RINFORZI, QUINTO: UNA COORTE PUÒ BASTARE?”

SCUOTENDO LA TESTA CON STIZZA, QUINTO PRESE UNA FIACCOLA E SI INOLTRÒ NEL BUIO OLTRE LA MURAGLIA, LASCIANDOSI ALLE SPALLE LE RISATE DI SCHERNO DEI DUE COMPAGNI.

AVVICINANDOSI, SI RESE CONTO CHE LA RAGAZZA STAVA CAMMINANDO SULL’ERBA A PIEDI NUDI, TENENDO FRA LE BRACCIA UNA CESTA RICOLMA DI PIANTICELLE; NON SEMBRAVA AFFATTO SPAVENTATA DA QUEL SOLDATO CHE LE VENIVA INCONTRO ARMATO DI TUTTO PUNTO NEL BUIO DELLA NOTTE.

LA SUA GONNA LEGGERA SVOLAZZAVA NEL VENTO, E UNA CHIOMA VERMIGLIA LE CADEVA GENTILE SULLE SPALLE. LO SGUARDO DI QUINTO RISALÌ LE FORME DELLA RAGAZZA, APPENA VISIBILI DIETRO LA VESTE SOTTILE, FINO AL VOLTO NIVEO, DAI LINEAMENTI AGGRAZIATI, CHE MILLE EFELIDI ADORNAVANO COME UN ARCIPELAGO DI DIAMANTI, E FINO AI SUOI OCCHI COLORE DEL GHIACCIO, CHE FISSAVANO SENZA TIMORE IL GIOVANE LEGIONARIO.

“IO E I MEI COMPAGNI CI CHIEDEVAMO SE TI FOSSI PERSA… TI SERVE AIUTO?”

LA RAGAZZA ACCENNÒ UN SORRISO, POI RISPOSE CON UNA VOCE CRISTALLINA: “NO, NON MI SONO PERSA. SIETE VOI CHE VI SIETE PERSI: QUESTA NON È LA VOSTRA TERRA.”

QUINTO SI SENTÌ INSPIEGABILMENTE A DISAGIO; SENZA ACCORGERSENE SI ERA MESSO AD ACCAREZZARE L’IMPUGNATURA DEL SUO GLADIO: “COME?”

“SEI VENUTO QUI PER PRENDERMI CON LA FORZA?”

“EH? NO, NOI NON LE FACCIAMO QUESTE COSE.”

“AH NO? LO AVETE FATTO A MIA MADRE, E A MIA SORELLA.”

QUINTO TACQUE E SI GUARDÒ ATTORNO, INQUIETO: “CHE COSA CI FAI LONTANA DA CASA A QUEST’ORA DELLA NOTTE?”

“RACCOLGO IL VISCHIO”, RISPOSE LA RAGAZZA INDICANDO LA CESTA, “SERVE DEL VISCHIO RACCOLTO CON LA LUNA PIENA PER PARLARE CON GLI DEI.”

“PARLARE CON GLI DEI?”

“SÌ, PER CHIEDER LORO DI SCACCIARE I ROMANI DALLA BRITANNIA.”

QUINTO FECE PER RIDERE: VOLEVA ESSERE UNA RISATA SPAVALDA, PER SCIOGLIERE LA TENSIONE, MA NE USCÌ SOLO UN GHIGNO NERVOSO E FORZATO.

“NON MI PARE CHE VI ABBIANO ASCOLTATO MOLTO FINORA.”

SI UDÌ UN ULULATO IN LONTANANZA. LA RAGAZZA INCLINÒ LA TESTA, E QUINTO TESE I MUSCOLI.

“QUINDI NON HAI INTENZIONE DI PRENDERMI CON LA FORZA?”

“TI HO DETTO DI NO. E SE NON HAI BISOGNO D’AIUTO, IO CON PERMESSO ME NE TORNO DAI MIEI COMMILITONI”, SBOTTÒ QUINTO.

SI VOLTÒ E FECE PER TORNARE INDIETRO, MA LA VOCE DI LEI PARALIZZÒ I SUOI PASSI: “E DI PRENDERMI E BASTA?”

QUINTO SI FERMÒ, E SI GIRÒ DI NUOVO VERSO LA RAGAZZA: “COS’HAI DETTO?”
“NON HAI INTENZIONE DI PRENDERMI? NEANCHE SE VOLESSI CONCEDERMI SPONTANEAMENTE?”

IL GIOVANE RIMASE A BOCCA APERTA, ATTONITO.

LA RAGAZZA SORRISE: “QUANTI ANNI HAI, QUINTO?”

QUINTO ERA TALMENTE CONCENTRATO SULLA SUA BELLEZZA E SULLA MELODIA DELLA SUA VOCE CHE NON SI FERMÒ NEPPURE UN ISTANTE A CHIEDERSI COME FACESSE QUELLA SCONOSCIUTA A SAPERE IL SUO NOME: “DICIOTTO.”

“DICIOTTO ANNI? E CHISSÀ QUANTI ANCORA NE PASSERANNO PRIMA CHE TU POSSA TOCCARE UNA FANCIULLA DELLE TUE TERRE.”

LA RAGAZZA FECE SCIVOLARE A TERRA LA VESTE, E QUINTO SI SENTÌ AFFOGARE NELLA NOTTE.

“NON È ANCORA TORNATO”, MORMORÒ DECIO, MENTRE GLI ULTIMI BAGLIORI DEL FUOCO SI SPEGNEVANO TRA LE BRACI.

“È GIOVANE, LASCIALO DIV-”

FLAVIO BALZÒ IN PIEDI: DAL LATO ROMANO DEL VALLO, UNA FIGURA INCAPPUCCIATA SI STAVA AVVICINANDO A PASSI LENTI AI DUE LEGIONARI.

“TRANQUILLO”, REPLICÒ DECIO, “È SULGACO.”

“SULGACO, VECCHIO SCROCCONE!”, URLÒ DECIO IN DIREZIONE DELLO STRANIERO, “MUOVITI CHE STASERA GLI AVANZI STANNO FINENDO!”

IL VECCHIO, AVVOLTO IN UNA TUNICA MARRONE, PUNTÒ IL SUO GROSSO BASTONE NODOSO VERSO DECIO: “IMPARATE AD AVER RISPETTO DEGLI ANZIANI! SOPRATTUTTO VOI, CHE SIETE OSPITI A CASA NOSTRA.”

SULGACO SI SEDETTE A FIANCO AI DUE. DECIO GLI LANCIÒ UNA COSCIA DI CONIGLIO, E IL VECCHIO DRUIDO L’ADDENTÒ VORACE.

“SAREMO ANCHE OSPITI, MA VEDO CHE ROMA NON VI DISPIACE POI MOLTO, QUANDO VI DÀ DI CHE SFAMARVI, EH?” GRACCHIÒ FLAVIO.
“IO NON HO RANCORE PER ROMA NEANCHE QUANDO BRUCIA O DISTRUGGE. COSÌ COME NON BIASIMO IL FIUME PER LA PIENA CHE DEVASTA I RACCOLTI, O IL LUPO PERCHÉ DECIMA IL BESTIAME. C’È STATO IL TEMPO DEI BRITANNI, E ORA QUEL TEMPO È FINITO E IO NON HO POTUTO FARCI NIENTE. E ORA È ARRIVATO IL TEMPO DI ROMA. MA FINIRÀ ANCHE QUELLO, E SARETE VOI A NON POTERCI FARE NIENTE. SIAMO TUTTI FRATELLI, IN QUESTO. E NON VE LO DEVO DIRE IO, SIETE ABBASTANZA SVEGLI PER CAPIRLO DA SOLI. CIÒ CHE MI CONFORTA È SAPERE CHE A QUESTO MONDO VI SONO FORZE CHE SFUGGONO A QUESTA ROVINA, FORZE CHE NON TRAMONTANO MAI, CHE INVECCHIANO INSIEME AI SECOLI, E SU CUI NÉ IO NÉ VOI ABBIAMO IL CONTROLLO.”

I TRE UOMINI RIMASERO IN SILENZIO. IL VENTO FORTE ERA CESSATO. SI SENTIVANO I GRILLI CANTARE TUTTO INTORNO, NASCOSTI NELLE LORO TANE.

DECIO SCRUTÒ NEGLI OCCHI DEL VECCHIO: “QUESTA NON È LA SOLITA VISITA, SULGACO. QUALCOSA TI TURBA”.

SULGACO SI SCHIARÌ LA VOCE:

“SONO STATO AD EBURACUM CON GLI ALTRI DRUIDI PER I RITUALI DELLA PRIMAVERA, POCO TEMPO FA. PRIMA PENSAVO FOSSERO SOLO DICERIE, MA ORMAI LE VOCI SI RINCORRONO.”

IL VECCHIO ALZÒ LO SGUARDO VERSO I DUE LEGIONARI. LA LUNA ILLUMINAVA LE SUE VECCHIE CICATRICI.

“I NOSTRI ANTENATI AVEVANO UN NOME PER QUESTA COSA, MA NOI LO ABBIAMO DIMENTICATO. SAPPIAMO SOLO CHE HA FAME, CHE È TRA NOI, E CHE NON SI FERMERÀ. COLPIRÀ ANCHE VOI: IL DEMONE NON FA DISTINZIONE TRA BRITANNI E ROMANI.”

“IL DEMONE?”

“SÌ. UN DEMONE CHE SI NUTRE DEI DESIDERI UMANI, E CHE STA BATTENDO LA BRITANNIA DEL NORD DA COSTA A COSTA, IN CERCA DI VITTIME.”

“SI NUTRE DEI DESIDERI UMANI?”

SULGACO ANNUÌ: “SA CIÒ CHE VOGLIONO GLI UOMINI, ED È IN GRADO DI ASSUMERE QUELLA FORMA. PER QUESTO SPESSO APPARE NELLE SEMBIANZE DI FANCIULLA.”

DECIO E FLAVIO SI FISSARONO SGOMENTI. RACCOLSERO IN FRETTA LE ARMI, E BALZARONO AL DI LÀ DEL MURO.

DISPERATI, SI MISERO A CHIAMARE IL NOME DI QUINTO NEL BUIO DELLA NOTTE, MA LE LORO GRIDA SI INFRANSERO NEL SILENZIO.

POI, IN MEZZO ALL’OSCURITÀ, DECIO VIDE QUALCOSA SCINTILLARE SOTTO LA LUCE DELLE STELLE. SI MISE A CORRERE, MA QUANDO LA RAGGIUNSE E REALIZZÒ DI COSA SI TRATTAVA, IL SUO CUORE SPROFONDÒ NELLO SCONFORTO.

ERA L’ELMO DI QUINTO.

FLAVIO SOPRAGGIUNSE TRAFELATO, TRATTENENDO A MALA PENA I SINGHIOZZI: “PER GLI DEI… LO ABBIAMO LASCIATO ANDARE… È COME SE LO AVESSIMO AMMAZZATO NOI, DECIO…”

DECIO SI INGINOCCHIÒ E PRESE L’ELMO TRA LE MANI, CERCANDO DI RICORDARVI IL VOLTO DI QUEL RAGAZZO A CUI AVEVA VOLUTO BENE COME A UN FIGLIO; E SENTÌ CRESCERE DENTRO DI SÉ UNA MAREA DI RABBIA PER QUELLA FRONTIERA DIMENTICATA CHE AVEVA INGHIOTTITO IL POVERO QUINTO, E PER QUELLA FINE IGNOBILE E SENZA SENSO.

POI QUALCOSA CATTURÒ IL SUO OCCHIO: SOTTO L’ELMO C’ERA UN FRAMMENTO DI PERGAMENA, CON UNA SCRITTA ROSSA.

UNA SCRITTA ROSSA DI SANGUE.

“IO NON SO LEGGERE. CHE C’È SCRITTO, DECIO?”

SI UDÌ UN ALTRO ULULATO IN LONTANANZA.

“C’È SCRITTO: FACITE PRAESTUM.”