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ORRORE AD ALTA QUOTA

LE RUOTE DEL TROLLEY STERZAVANO E SCARTAVANO FRENETICHE MENTRE L’INGEGNERE BRAMBILLA, GIACCA IN SPALLA, SI AFFANNAVA LUNGO IL TERMINAL 2 ALLA RICERCA DEL SUO IMBARCO.

‘DEVE ESSERE SEMPRE DALL’ALTRA PARTE DELL’AEROPORTO, CAZZO’.

ALL’IMBARCO L’IMPIEGATA LO ACCOLSE CON IL SOLITO SORRISO ARTIFICIALE.

“IL VOLO PER LAMBRATE?”

“SÌ, BRAMBILLA, BUSINESS CLASS.”

“EHM… I POSTI IN BUSINESS CLASS SONO TERMINATI.”

“COME? MA IO HO PRENOTATO PER UN POSTO IN BUSINESS.”

“TEMO CI SIA STATO UN PROBLEMA DI SOVRAPRENOTAZIONE, INGEGNERE. MA POSSIAMO ASSEGNARLE UN POSTO IN ECONOMY CON EXTRA SPAZIO PER LE GAMBE…”

BRAMBILLA SOSPIRÒ.

ALL’INTERNO DELLA FUSOLIERA LA PUZZA DI SUDORE SI MESCOLAVA ALLE RISATE DEI RAGAZZI DI RITORNO DALLE VACANZE.

BRAMBILLA SI FECE STRADA ATTRAVERSO LA GENTE ANCORA FASTIDIOSAMENTE IN PIEDI FINO AL POSTO 14C.

L’UOMO SEDUTO ACCANTO AL FINESTRINO, IN CRAVATTA ED ABITO NERO, LO ACCOLSE CON UN CENNO DEL CAPO, MENTRE BRAMBILLA SISTEMAVA LA VALIGIA NELLA CAPPELLIERA.

NELL’APPOGGIARSI ALLO SCHIENALE SENTÌ LA STANCHEZZA E LA TENSIONE SCIOGLIERSI: ATTRAVERSO IL FINESTRINO GLI GIUNGEVANO LE LUCI INTERMITTENTI DELLA PISTA, E IL RUMORE DELLE MANOVRE DEL 737 CHE SI APPRESTAVA A DECOLLARE.

GLI PARVE DI APPISOLARSI DUE, FORSE TRE VOLTE.

QUANDO RIAPRÌ GLI OCCHI ERANO GIÀ IN VOLO. SI GUARDÒ ATTORNO: LE LUCI ERANO SPENTE, E LA GRAN PARTE DEI PASSEGGERI STAVA DORMENDO, COMPRESO IL SUO COMPAGNO DI VIAGGIO.

SI STROPICCIÒ GLI OCCHI SBADIGLIANDO, E GETTÒ UN’OCCHIATA ALL’ESTERNO: NEL BUIO DENSO DEL CIELO NOTTURNO VEDEVA SOLO L’ALA ILLUMINATA DALLA LUCE DEI MOTORI.

E POI NOTÒ QUALCOS’ALTRO.

QUALCOSA CHE SI MUOVEVA SULL’ALA.

RABBRIVIDÌ, E SI AVVICINÒ AL FINESTRINO PER VEDERE MEGLIO.

NON SI STAVA SBAGLIANDO; C’ERA VERAMENTE QUALCOSA SULLA SUPERFICIE DELL’ALA.

UN’OMBRA, CONFUSA NEL BUIO E NELLA PIOGGIA BATTENTE, ILLUMINATA A SPRAZZI DALLE LUCI LAMPEGGIANTI DEL VELIVOLO.

E SI STAVA AVVICINANDO, STRISCIANDO LUNGO L’ALA, VERSO BRAMBILLA.

QUANDO LA CREATURA FU A POCHI METRI DAL FINESTRINO, L’INGEGNERE RIUSCÌ FINALMENTE A DISTINGUERNE LE MEMBRA, MAGRE E LISCE, DI UN COLORE PALLIDO COME LA LUNA, ED IL VOLTO EMACIATO SOTTO I CAPELLI SPARUTI, LA BOCCA CONTORTA IN UNA SMORFIA MALEVOLA, SOTTO IL NASO ADUNCO, E GLI OCCHI GIALLI PIENI DI INTENZIONI INDICIBILI.

E STAVA GUARDANDO LUI.

STAVA GUARDANDO LUI.

“CAZZO!”, URLÒ GETTANDOSI IN AVANTI DI SOPRASSALTO.

“INGEGNERE, TUTTO A POSTO?” DOMANDÒ LA HOSTESS CON FARE RASSICURANTE.

“NO CAZZO. C’È PIPPO FRANCO SULL’AEREO! DIA UN’OCCHIATA!”

BRAMBILLA INDICAVA TREMOLANTE IL FINESTRINO.

“IO NON VEDO NULLA, SA?”

BRAMBILLA GUARDÒ DI NUOVO ALL’ESTERNO: VIDE SOLO L’ALA VIBRARE SOTTO LA PIOGGIA; L’OMBRA NON C’ERA PIÙ.

“LE ASSICURO CHE C’ERA PIPPO FRANCO. CONTROLLATE LE TELECAMERE, CAZZO!”

L’HOSTESS SORRISE.

“SIGNORINA, L’INGEGNERE STAVA SOLO FACENDO UN BRUTTO SOGNO”, SI INTROMISE LA VOCE PACATA DELL’UOMO CON LA CRAVATTA, “POTREBBE PORTARGLI UN COGNAC? ANZI FACCIA DUE…”

“OFFRO IO NATURALMENTE”, AGGIUNSE L’UOMO APPOGGIANDO UNA MANO AMICHEVOLE SULLA SPALLA DI BRAMBILLA.

“LA RINGRAZIO MOLTO”, RISPOSE BRAMBILLA ASCIUGANDOSI LA FRONTE.

“OH, MA CI MANCHEREBBE. LA CAPISCO, SA? CON TUTTE QUESTE TURBOLENZE È FACILE AGITARSI…”

“GIÀ, NON SO MAI QUALE SIA IL LIVELLO DI TURBOLENZA OLTRE IL QUALE È LECITO PREOCCUPARSI…”

“ECCO I VOSTRI COGNAC”, SQUITTÌ LA HOSTESS PORGENDO LORO UN VASSOIO.

BRAMBILLA PRESE IL SUO BICCHIERE FRA LE MANI SUDATE.

“UN BRINDISI AL SUO PROGETTO DI SESTO, INGEGNERE,” DISSE L’UOMO CON LA CRAVATTA ALZANDO IL LIQUORE.

“AH, VEDO CHE MI CONOSCE.”

“LA HOSTESS PRIMA L’HA CHIAMATA PER NOME. E POI BE’… LEGGO I GIORNALI…”

“LEGGE I GIORNALI PERCHÉ È INTERESSATO AD INVESTIRE?”

“NO, NON DIREI PER IL MOMENTO. CERCO SOLO DI ESSERE UN CITTADINO INFORMATO.”

“NON SI INFORMI TROPPO SULLA QUESTIONE, ALLORA. È IL GENERE DI COSE SU CUI I GIORNALI TENDONO A RICAMARE, E NON VORREI CHE SI FACESSE UN’IDEA SBAGLIATA DI ME.”

“GUARDI CHE IO QUESTE COSE NON LE GIUDICO MICA, PERLOMENO NON COSÌ SUPERFICIALMENTE. IL NOSTRO È UN MONDO IN CUI SI FA AFFARI CON CHI CAPITA. QUELLI TROPPO SCHIZZINOSI COLANO A PICCO. MA POI DI CHE STIAMO A PARLARE, BRAMBILLA? C’È UN PIPPO FRANCO SULL’AEREO!”

UN RISOLINO STROZZATO SI FERMÒ NELLA GOLA DI BRAMBILLA.

“AHAH!”

“INGEGNERE NON SI DEVE PREOCCUPARE. IL 99% DEGLI INCIDENTI AEREI SI VERIFICA DURANTE IL DECOLLO O L’ATTERRAGGIO. PERÒ CERTO, QUELLI IN FASE DI CROCIERA SPAVENTANO DI PIÙ. A PROPOSITO, RICORDA QUELLA STORIA… QUEL PILOTA TEDESCO CHE SI SFRACELLÒ SULLE ALPI QUALCHE ANNO FA? C’È UNA VOCE CHE CIRCOLA SU QUEL VOLO… DICONO CHE UNO DEI PASSEGGERI AVESSE VISTO PIPPO FRANCO ARRAMPICARSI SULLA CODA DELL’AEREO… PROPRIO COME LEI…”

“MA IO STAVO SOGNANDO… L’HA DETTO LEI…”

“OH CERTO…”

BRAMBILLA SI STRINSE AI BRACCIALI, MENTRE IL SUDORE GLI COLAVA SOTTO LA CAMICIA.

“E POI COME È POSSIBILE CHE SI SAPPIA, VISTO CHE I PASSEGGERI SONO TUTTI MORTI?”

L’UOMO ALZÒ LE SPALLE.

“NON LO CHIEDA A ME, GLIE L’HO DETTO: È SOLO UNA DICERIA… MA -SUPPONGO- DALLA SCATOLA NERA? O DA QUALCHE CELLULARE RIMASTO SUL CRATERE DELL’IMPATTO? IMPRESSIONANTE PERÒ… TUTTA QUELLA GENTE, UN MOMENTO TRANQUILLA E POI-”

“NON MI STA TRANQUILLIZZANDO AFFATTO”, DISSE BRAMBILLA VOLTANDOSI VERSO L’UOMO.

IL SUDORE LO TENEVA INCHIODATO ALLO SCHIENALE, MENTRE L’AEREO SUSSULTAVA TRA UNA SACCA DI VUOTO E L’ALTRA.

LA SPIA DELLE CINTURE SI ACCESE.

DALL’ALTOPARLANTE SI UDÌ LA VOCE NERVOSA DI UNA HOSTESS: “STIAMO ATTRAVERSANDO UN’ALTRA ZONA DI TURBOLENZA. VI PREGHIAMO DI RIMANERE SEDUTI CON LE CINTURE ALLACCIATE E DI UTILIZZARE LA TOILETTE SOLO IN CASO DI NECESSITÀ.”

“QUELLO CHE STO CERCANDO DI DIRLE, BRAMBILLA,” PROSEGUÌ L’UOMO CON LA CRAVATTA, “È CHE, ASSUMENDO PER UN ISTANTE CHE CI SIA DEL VERO IN QUESTA MODERNA FORMA DI FOLCLORE, PIPPO FRANCO NON SAREBBE LA CAUSA DEI DISASTRI AEREI, COME CREDE QUALCUNO. NO, IN UN CERTO SENSO NE SAREBBE L’EFFETTO…”

“L’EFFETTO?”

“MA SÌ, TUTTE LE VOLTE CHE PIPPO FRANCO È APPARSO AI PASSEGGERI, L’AEREO ERA GIÀ SEGNATO. NON È STATO LUI AD ALLENTARE QUALCHE VITE. LUI HA SOLO ANNUSATO IL TERRORE. FORSE È QUELLO IL SUO NUTRIMENTO.”

NEL BICCHIERE DI BRAMBILLA IL COGNAC VIBRAVA A OGNI SCOSSA. L’INGEGNERE LO PRESE IN MANO PER SORSEGGIARLO, MA LE MANI GLI TREMAVANO TROPPO, E METÀ DEL LIQUORE FINÌ SULLA SUA CAMICIA.

“QUESTO TERRORE CHE SENTE CRESCERE DENTRO DI LEI È CIÒ CHE GLI INTERESSA,” CONTINUÒ L’UOMO AVVICINANDOSI ALL’ORECCHIO DI BRAMBILLA PER BISBIGLIARE, “UN’OCCHIATA ALLE HOSTESS, PER COGLIERE QUALCHE SEGNO DELL’IMMINENTE TRAGEDIA, UN VOLTO DEVASTATO DALL’ANGOSCIA, E POI LA SENSAZIONE DELLA CONSAPEVOLEZZA CHE CRESCE ATTORNO A SÉ, UN ISTANTE DOPO L’ALTRO. LA DISPERAZIONE DI DECINE DI PERSONE FRULLATA A OTTOCENTO CHILOMETRI ALL’ORA. E TUTTO PER COSA? PER IL CASO, BRAMBILLA. UN MECCANICO POCO ATTENTO, UN PILOTA CHE HA DECISO DI ANDARSENE COL BOTTO, UN SEGUACE DI ALLAH PARTICOLARMENTE ZELANTE, ED È TUTTO FINITO: OGNI STORIA, OGNI VITA, OGNI PROGETTO. E LA COSA PEGGIORE È CHE RIMANE PURE IL TEMPO PER PENSARCI, PER MORDERSI LE LABBRA RIMUGINANDO SU TUTTI I FILI RIMASTI SCIOLTI. NON È VERO, BRAMBILLA? NON PENSA CHE DOVREI INVESTIRE DAVVERO SU QUELLA COSA A SESTO SAN GIOVANNI?”

LA FUSOLIERA FREMETTE ANCORA PIÙ FORTE, MENTRE I PASSEGGERI SI SVEGLIAVANO E INIZIAVANO A MORMORARE.

BRAMBILLA SI GIRÒ VERSO L’UOMO: STAVA RIDENDO SGUAIATAMENTE

L’INGEGNERE PROVÒ A RIDERE DI RIMANDO, MA RIUSCÌ SOLO A STORCERE LA BOCCA IN UN SORRISO SARDONICO.

“SÌ, PENSO DAVVERO CHE DOVREBBE INVESTIRE! APPENA ATTERRIAMO LE LASCIO I MIEI CONTATTI! SEMPRE SE ATTERRIAMO AHAHAHAHAH!”

“IL CASO È IL MOSTRO PIÙ TERRIBILE CHE ESISTA, BRAMBILLA. E IO QUESTA SERA SONO QUI PER SALVARLA DAL CASO.”

L’UOMO SBATTÈ LE PALPEBRE.

QUANDO LE RIAPRÌ, BRAMBILLA VIDE CHE I COLORI DELLE IRIDI E DELLE SCLERE ERANO SCOMPARSI: ERA RIMASTO SOLO UN NERO UNIFORME, SENZA SOLUZIONE DI CONTINUITÀ, UN NERO PROFONDO E ABISSALE.

E FU ALLORA CHE LO RICONOBBE.

“DOTTOR LUCARELLI… MA QUINDI…”

“SÌ…”

“FINIREMO SCHIACCIATI CONTRO UNA MONTAGNA?” DOMANDÒ L’INGEGNERE BALBETTANDO.

NELL’AEREO ERA SCESO UN SILENZIO INNATURALE: I PASSEGGERI, MUTI, FISSAVANO IL VUOTO COME IPNOTIZZATI; LA FUSOLIERA AVEVA SMESSO DI TREMARE.

“VEDE INGEGNERE, QUESTA GENTE, QUESTE… PERSONE QUALSIASI… POSSO PURE LASCIARE CHE PIPPO FRANCO SI MASTICHI LE LORO ANIME PER IL RESTO DELL’ETERNITÀ… MA LEI NON DEVE FINIRE SPRECATO IN QUESTO MODO: È DA ANNI CHE LA SEGUO, E HO UN PIANO SPECIALE PER LEI.”

GIANFRANCO

LE LANCETTE DELL’OROLOGIO SI ERANO FERMATE: NEL BUIO, IL SORRISO GIALLO E SDENTATO DELLA SUA NEMESI LUCCICAVA MALEVOLO.

GIANFRANCO SI PRESE QUALCHE ISTANTE PER ASSAPORARE IL MOMENTO, PRIMA DI VIBRARE IL COLPO DECISIVO: ALZÒ IL BRACCIO, TENENDO GLI OCCHI FISSI SUL NEMICO, E POI, CON ARIA DI SFIDA, ABBATTÉ IL TRE DI BASTONI SUL TAVOLO.

IL SUO ETERNO AVVERSARIO, PIETRO DELLE POSTE, SI LECCÒ NERVOSAMENTE LE LABBRA SECCHE E MALVAGIE, GIRANDOSI VERSO IL COMPAGNO DI SQUADRA: ERMINIO FABBRI, DETTO “L’OBLIQUO” PER VIA DELLA SUA ESTREMA SCOLIOSI, RICAMBIÒ LO SGUARDO CON UN’ESPRESSIONE DI SCONFORTO.

“PIETRO SONO INCARTATO.”

CON UNA MANO TREMOLANTE, ERMINIO ADAGIÒ SUL TAVOLO UN ASSO DI SPADE, CONSEGNANDO QUEL RICCO PIATTO AL TRE DI BRISCOLA DI PATROCLO GIANNERINI, COMPAGNO DI MILLE BATTAGLIE DEL VECCHIO GIANFRANCO.

“NOOOO!”, RANTOLÒ PIETRO SCHIUMANTE DI RABBIA.

CON UNA SOLA, FATALE MANO, GIANFRANCO E PATROCLO AVEVANO RIEMPITO IL SACCO DI OLTRE QUARANTA PUNTI, AVEVANO SCHIACCIATO I LORO NEMICI, ED ERANO ASCESI A VINCITORI TOTALI ED INDISCUSSI DEL TORNEO DI BRISCOLA DI FERRAGOSTO DI BRIGLIANO DI SOTTO, FRAZIONE DI RIOVEGGIO.

GIANFRANCO ALZÒ LE MANI AL CIELO, MENTRE LA SALA ESPLODEVA IN UN APPLAUSO SCOMPOSTO.

VIDE LA SILVIONA, NIPOTE VENTENNE DEL BARISTA ARMANDO, AVVICINARSI CON IL PRIMO PREMIO: UN GIGANTESCO PROSCIUTTO DI PARMA.

MA L’UNICO PROSCIUTTO CHE GIANFRANCO AVREBBE VOLUTO INFILZARE DAVVERO ERA PROPRIO LA SILVIONA: QUANDO OGNI MATTINA RITIRAVA IL SUO GHIOTTO ASSEGNO PENSIONISTICO, SI COMPIACEVA AL PENSIERO DI INFILARLO TRA QUEL PAIO DI MAESTOSE POPPE, RESE MORBIDE E APPETITOSE DAGLI ANNI DI EFFLUVIO DI FRITTO DI CRESCENTINE E DI PALPATINE NEL RETROBOTTEGA.

E, MENTRE ATTRAVERSO L’INCIPIENTE CATARATTA IL SUO SGUARDO SI PERDEVA IN QUEL MAELSTROM DI BEATITUDINE MAMMARIA, SENTÌ UNA TENDA SCURA CALARE SUL SUO MONDO.

“GIANFRANCO, LE SUE CAROTIDI FISCHIANO COME TRENI. SISTEMI IL SUO COLESTEROLO, O IL SUO COLESTEROLO SISTEMERÀ LEI.”

AVEVA AVUTO RAGIONE, IL DOTTOR CALZOLARI.

MA GIANFRANCO AVEVA SEMPRE VOLUTO VIVERE BENE, NON VIVERE TANTO.

SI ERA SEMPRE CONSIDERATO INVULNERABILE AI RIMPIANTI.

COSÌ, MENTRE LE SUE SINAPSI SCLEROTIZZATE SPARAVANO GLI ULTIMI COLPI, DECISE DI PENSARE A SE STESSO COME AD UN VINCITORE.

DA VINCITORE DOVEVA ESSERE ACCOLTO NEL MONDO CHE LO ATTENDEVA, DI QUALUNQUE MONDO SI TRATTASSE.

SOLO IN QUEGLI ULTIMI ISTANTI SI RESE CONTO, INFATTI, DI NON ESSERSI MAI SOFFERMATO, IN TUTTA LA SUA VITA, A CONSIDERARE COSA CI POTESSE ESSERE DALL’ALTRA PARTE DEL GUADO.

O FORSE GLI ERA SUCCESSO, UNA VOLTA, MA POI QUEL TIPO DI RIFLESSIONI ERA STATO BLOCCATO DAL SUO SISTEMA AUTOMATICO DI ESCLUSIONE MENTALE, UN SISTEMA CHE AVEVA ELABORATO NEL CORSO DEGLI ANNI, COMPLESSO E INFALLIBILE, PER EVITARE TUTTI I PENSIERI IN GRADO DI ROVINARGLI LA CENA.

MA ADESSO COSA DOVEVA ASPETTARSI?

SAN PIETRO, PRONTO A PORGERGLI LE CHIAVI DEL SUO CANCELLO CELESTE?

O LE FORESTE POPOLATE DAGLI SPIRITI DEI SUOI PROGENITORI CELTICI?

O FORSE SI SAREBBE REINCARNATO, MAGARI IN UNO DI QUEI BAMBINI CON LA PROGERIA?

RABBRIVIDÌ AL PENSIERO.

E POI SENTÌ QUALCOSA SGOCCIOLARGLI VIA DI DOSSO, E DELL’ARIA FREDDA SUL VOLTO.

ATTRAVERSO LA NEBBIA FINE CHE SI STAVA DIRADANDO DI FRONTE A LUI, RIUSCÌ A SCORGERE IL SORRISO DI UN UOMO DAI CAPELLI LISCI E GRIGI, CHE LO SCRUTAVA TENENDO UN DITO SULLE LABBRA.

GIANFRANCO SI GUARDÒ ATTORNO: SI TROVAVA IN UNA VASCA TRASPARENTE, E IL LIQUIDO GIALLASTRO IN CUI ERA STATO IMMERSO FINO A POCO PRIMA STAVA DEFLUENDO ATTRAVERSO UNA TUBATURA DI SCOLO.

UN ALTRO UOMO, DAI BAFFI SCURI E LO SGUARDO GELIDO, SI AVVICINÒ AL PRIMO: “INSOMMA, CHE ABBIAMO QUA?”

“FACENDO MORIRE GIANFRANCO CREDO DI AVER DATO UNA SVOLTA ALLA MIA FICTION. ORA È TUTTO TUO!” REPLICÒ CARLO FRECCERO.

LUCARELLI SI LISCIÒ LA BARBA: “SI PUÒ RIPROGRAMMARE CON UN ACCENTO TOSCANO? HO UNA MEZZA IDEA PER UNA MINISERIE SUL DUE.”

“CREDO PROPRIO DI SÌ, CARLO.”

“VA BENE, ALLORA PROVVEDI. MA PRIMA FALLO PORTARE NEL MIO STUDIO: HO VOGLIA DI SVUOTARE UN POCHINO LE PALLE.”

GIULIA

GLI ULTIMI RAGGI DI SOLE STAVANO MORENDO IN LONTANANZA, E IL FREDDO PUNGENTE DEL PRIMO INVERNO COMINCIAVA A MORDERLE LA PELLE.

MARCO LE APRÌ LA PORTA SORRIDENDO: “GIULIA!”

“VUOI FARMI ENTRARE O DEVO RIMANERE QUI A CONGELARE?”

“AHAHAH SCUSA. STAVO FINENDO UNA COSA…”

“BRRRRR”, ESCLAMÒ GIULIA APPOGGIANDO IL CAPPOTTO ALL’APPENDIABITI, “MA QUINDI I TUOI NON CI SONO?”

“NO, SONO VIA PER CAPODANNO…”, RISPOSE MARCO TRADENDO UN FILO DI EMOZIONE, “TI VA SE ANDIAMO IN CAMERA MIA?”

GIULIA SORRISE: “SÌ CERTO. PERÒ SAI CHE IO NON HO MAI…”

“SÌ, LO SO… NON TI PREOCCUPARE.”
UN’ORA DOPO ERANO NEL LETTO, STESI A GUARDARE IL SOFFITTO.

“MARCO IO VADO.”

“SEI SICURA? NON VUOI CHE TI ACCOMPAGNI?”

LO BACIÒ SULLA GUANCIA: “NO, TRANQUILLO. SEI CARINO A PREOCCUPARTI, MA TANTO HO LA MACCHINA.”

GIULIA SI RIVESTÌ E USCÌ DI CASA. MENTRE METTEVA IN MOTO LA VECCHIA PUNTO, VIDE LUI CHE LA SALUTAVA DALLA FINESTRA. FECE UN CENNO CON LA MANO, E POI PARTÌ.

SI SENTÌ, PER ALCUNI MINUTI, FELICE.

MA NEL BUIO DELLA NOTTE, APPENA ILLUMINATO DAI FARI DELLA MACCHINA, I SUOI PENSIERI FERMENTAVANO, E SI SUSSEGUIVANO L’UNO DOPO L’ALTRO, SCORRENDO VELOCI COME I VECCHI PINI CHE FIANCHEGGIAVANO LA STRADA.
E ALLORA SI RESE CONTO DI QUANTO QUELLA FELICITÀ FOSSE SUPERFICIALE, E DI COME SOTTO DI ESSA STESSE GERMOGLIANDO QUALCOSA DI PIÙ PERVASIVO, DI PIÙ AMARO E PROFONDO.

SENTIVA COME QUELL’ESPERIENZA, CHE NELLE SUE INTENZIONI AVREBBE DOVUTO RIEMPIRLA DI SIGNIFICATO, AVESSE FINITO PER LASCIARLA VUOTA.

SE QUESTA COSA, A CUI TUTTI DAVANO TANTA IMPORTANZA, SI ERA RIVELATA COSÌ VACUA, COSA C’ERA DA ASPETTARSI DAL RESTO?

ERA QUESTO CHE LA VITA AVEVA IN SERBO PER LEI? UNA LUNGA, ININTERROTTA SERIE DI NOTTI PASSATE A TORNARE A CASA DA SCOPATE SENZA SENSO? VEDERE GLI ANNI PORTARSI VIA UN PEZZO DI ANIMA ALLA VOLTA, FINO A LASCIARE LE BRICIOLE PER I VERMI?

E INTANTO SAREBBE INVECCHIATA, E QUEL SENSO DI VUOTO SAREBBE INVECCHIATO CON LEI. E UNA VOLTA VECCHIA AVREBBE RIPENSATO A QUELLA SERA, AVREBBE REALIZZATO CHE AVEVA PREVISTO TUTTO, CAPITO TUTTO IN ANTICIPO, MA CHE NON AVEVA FATTO NULLA PER CAMBIARE LE COSE. E POI SAREBBE MORTA, E SAREBBE STATA UNA MORTE SENZA SENSO, COSÌ COME LO ERA STATA LA SUA VITA.

E ALLORA L’UNICA SOLUZIONE ERA NON PENSARE, COME FACEVANO GLI ALTRI, E ANDARE AVANTI FACENDO FINTA DI NULLA, E SEPPELLIRE TUTTO IN UN ANGOLO BUIO DELLA COSCIENZA… COSÌ FORSE CE L’AVREBBE FATTA.

E POI LO VIDE.

IMMOBILE, IN MEZZO ALLA STRADA.

ARRESTÒ L’AUTO DI COLPO.

OGNI FIBRA DEL SUO CORPO ERA PARALIZZATA: UN URLO DI ORRORE STRAZIANTE LE SI SPENSE IN GOLA.

ERA COME LE AVEVA DETTO UNA VOLTA SUA NONNA, QUANDO ERA PICCOLA, DAVANTI AL FUOCO DEL CAMINO: “VIENE QUANDO I TUOI PENSIERI LO VANNO A CERCARE.”

E INTANTO LUI CONTINUAVA A GUARDARLA CON UN GHIGNO MALVAGIO DIPINTO SUL VOLTO, MA DI UNA MALVAGITÀ CALMA, QUASI PATERNA.

CON UN ARTIGLIO LE FECE CENNO DI AVVICINARSI.

GIULIA SCESE DALLA MACCHINA E GLI SI AVVICINÒ, SCANDENDO LENTAMENTE I PASSI.

PIÙ SI AVVICINAVA, PIÙ SENTIVA LA SUA PAURA CAMBIARE FORMA, COME SE IL FIUME IRRUENTO DELL’ORRORE FOSSE SFOCIATO IN UN OCEANO PIATTO. SBATTÉ LE PALPEBRE, E UNA LACRIMA LE SCESE SUL VOLTO. LUCARELLI ALLUNGÒ UNA MANO PER ASCIUGARLA, E LA SENSAZIONE DI QUELL’ARTIGLIO FREDDO SULLA GUANCIA LA CALMÒ.

“GIULIA, SAI PERCHÉ SONO QUI?”

GIULIA ANNUÌ, CON GLI OCCHI FISSI SU DI LUI.

“VERRAI CON ME, VERO?”

LEI APRÌ LA BOCCA COME PER PARLARE, MA LUCARELLI LA FERMÒ.

“NO. NON SUCCEDERÀ NULLA SE RESTI QUI. PASSERAI ANNI A CONSUMARTI, ASPETTANDO CHE SUCCEDA QUALCOSA. UN GIORNO CAPIRAI DI AVER ATTESO PER NIENTE, MA SARÀ STATO TROPPO TARDI. NON DEVE ESSERE COSÌ GIULIA. SEGUIMI. SEGUIMI FINCHÉ SEI GIOVANE E FORTE E IL MONDO NON TI HA ANCORA CORROTTA. TU NON VUOI FINIRE COME LORO, LO SO.”

LUCARELLI SI GIRÒ, E IN UN ISTANTE SCOMPARVE NELLA BOSCAGLIA.

GIULIA UDÌ IL SUONO DEL CARILLON CON CUI GIOCAVA DA PICCOLA, QUELLO A FORMA DI GIOSTRA, COI CAVALLI DI LEGNO CHE GIRAVANO INTORNO.

SI MOSSE COME IN UN SOGNO, E UN’OSCURITÀ PIÙ VECCHIA DEL MONDO INGHIOTTÌ I SUOI ULTIMI PASSI.

IL SEGRETO DEI PRESEPI

“NO, TI PREGO, NOOOO… GGGGHGLGLGLGLGL”
LE ULTIME PAROLE DI BABBO NATALE AFFOGARONO IN UN INDISTINTO GORGOGLÌO DI SANGUE, MENTRA LA LAMA DI AUGIAS SCORREVA LESTA SULLE SUE GIUGULARI. POI, COME TUTTI I CICCIONI QUANDO MUOIONO, SANTA KLAUS RILASCIÒ GLI SFINTERI, CREANDO UNA POZZA DI PISCIO E MERDA SOTTO LA SUA SEDIA.
“TANTI AUGURI”, SOGGHIGNÒ LACONICO AUGIAS PULENDO IL SUO COLTELLO.
DALLA PARTE OPPOSTA DELLA STANZA SOTTERRANEA MATTEO SALVINI, LEGATO ANCH’EGLI AD UNA SEDIA, ERA SCOPPIATO A PIANGERE DAL TERRORE.
“LO VEDI?”, ESCLAMÒ CARLO LUCARELLI INDICANDO IL CADAVERE DELL’OBESO LAPPONE, “IO SONO UNA PERSONA RAGIONEVOLE, MA CORRADO È UNO CHE SI FA PRENDERE LA MANO: QUELLO SEI TU FRA DIECI MINUTI, SE NON CI RIVELI DOVE AVETE NASCOSTO I PRESEPI!”
“IO NON SO NULLA. VOLEVO SOLO UN PO’ DI VOTI… SOLO UN POCHINO DI VOTI”, PIAGNUCOLÒ SALVINI ABBASSANDO LA TESTA.
“POVERO PICCOLO MATTEO”, SOSPIRÒ LUCARELLI, “POVERO MATTEO, INSIGNIFICANTE PEDINA NELLA GRANDE GUERRA TRA LA LUCE E L’OMBRA.
PER DUEMILA ANNI I PRESEPI HANNO CREATO UNA BARRIERA INTERDIMENSIONALE, IMPEDENDO AL SIGNORE DELLE TENEBRE DI RAGGIUNGERE LA NOSTRA REALTÀ. È PER QUESTO CHE NOI, I SUOI SERVITORI, CERCHIAMO DA SECOLI DI DISTRUGGERLI: NEL ‘900 ABBIAMO TENTATO PRIMA CON IL COMUNISMO E POI, NEGLI ANNI ’90, CON LA MACARENA. ORA NON CI RIMANE ALTRO CHE PROVARE AD ELIMINARE I PRESEPI MEDIANTE L’ISLAM RADICALE, MA LA TUA SCIOCCA CROCIATA HA COMPLICATO I NOSTRI PIANI. POCO IMPORTA, CON LE BUONE O CON LE CATTIVE, I PRESEPI SARANNO DISTRUTTI, E IL PRINCIPE OSCURO VERRÀ FRA DI NOI AD INAUGURARE MILLE ANNI DI BUIO E TASSAZIONE SULLA PRIMA CASA. IL MALE TRIONFERÀ, E IL BENE PERDERÀ MATTEO, PERCHÉ IL BENE È GAY.”