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IL SEVERO PROFESSOR PERTUGI

ERANO GLI ULTIMI, TORRIDI GIORNI DELL’ULTIMO ANNO DI SCUOLA, AL LICEO CLASSICO “ALDA MERINI” DI SAVONA, ED IL MIO GIOVANE SPIRITO ERA TESO COME UNA CORDA DI VIOLINO: AVEVO APPENA SCOPERTO CHE FRA I COMMISSARI INTERNI DELL’ESAME DI MATURITA’ VI SAREBBE STATA LA MIA NEMESI, IL SEVERO PROFESSOR PERTUGI.

NEL CORSO DEI CINQUE ANNI PRECEDENTI, PERTUGI NON AVEVA PERSO OCCASIONE PER UMILIARMI E METTERMI IN IMBARAZZO DI FRONTE AI MIEI COMPAGNI DI CLASSE: OGNI VOLTA CHE MI ALZAVO IN PIEDI PER UN’INTERROGAZIONE SAPEVO CHE SAREI STATO IL PROTAGONISTA DI UN PICCOLO NUMERO CIRCENSE, UN NUMERO IN CUI IL POVERO FABIO, IN EQUILIBRIO SULLA SOTTILISSIMA CORDA DELLE SUE PUR RISPETTABILI COMPETENZE CULTURALI, AVREBBE TENTATO GOFFAMENTE DI SCHIVARE UNA FITTA PIOGGIA DI LETALI PROIETTILI DI MERDA.

PERTUGI ERA DI QUEI PROFESSORI VECCHIO STILE, DI QUELLI CHE NON AVEVANO PAURA DI DIRTI IN FACCIA CHE SEI UNA NULLITA’, UNO CHE NELLA VITA AVEVA FALLITO ANCORA PRIMA DI INIZIARE, E ALL’EPOCA ERO CONVINTO CHE LO FACESSE PERCHE’, SOTTO SOTTO, PROVAVA PIACERE.

UNA VOLTA AVEVA DETTO AI MIEI GENITORI: “NON E’ CHE SUO FIGLIO SIA STUPIDO, E’ CHE NON SI IMPEGNA… NO SCUSATE VOLEVO DIRE IL CONTRARIO. E POI E’ BRUTTO, E’ VERAMENTE BRUTTO. SIETE SICURI CHE SIA FIGLIO VOSTRO?”

PERTUGI ERA CRUDELE CON TUTTI GLI STUDENTI, E GODEVA DI UN ODIO GENERALIZZATO ALL’INTERNO DELLA SCUOLA, MA IO NON POTEVO FARE A MENO DI SENTIRMI PARTICOLARMENTE PRESO DI MIRA.

E QUINDI QUELLA MATTINA ME NE STAVO CON I GOMITI SUL BANCO, LE MANI ATTORNO ALLA TESTA, E LO SGUARDO IN BASSO, A PROGETTARE UN MODO PER CONTENERE I DANNI: PERTUGI MI ASPETTAVA, QUEL POMERIGGIO, PER DISCUTERE DELLA MIA TESI DI MATURITA’, UNA PROSPETTIVA CHE NON PROMETTEVA NULLA DI BUONO.

“EHI FABIONE… FABIONE!” , BISBIGLIO’ PIERGIORGIO DAL BANCO DAVANTI, “VAI A PARLARE CON PERTUGI OGGI?”
“SI GUARDA, LASCIA PERDERE…”

“NO, NON LASCIO PERDERE FABIO! SEI MIO AMICO, E QUEL PEZZO DI MERDA TI HA FATTO TRIBOLARE PER CINQUE ANNI… PRIMA STAVO PARLANDO CON GIANMAURO… ABBIAMO TROVATO UN MODO PER FARGLIELA PAGARE.”

“CIOE’?”

“CI BECCHIAMO OGGI ALLE DUE, DALLE MACCHINETTE DEL CAFFE’.”

INTRIGATO DALLA PROPOSTA DI PIERGIORGIO, MI PRESENTAI ALL’APPUNTAMENTO: LUI E GIANMAURO ERANO LI’ CHE MI ASPETTAVANO NELL’AREA RISTORO, ED ERANO VISIBILMENTE ECCITATI. PIERGIORGIO MI BATTE’ LA MANO SULLA SPALLA:
“FABIONE, QUI FACCIAMO LA STORIA. DIGLIELO GIANMAURO!”

GIANMAURO SI INFILO’ UNA MANO IN TASCA, E NE ESTRASSE UNA MANCIATA DI COMPRESSE BLU.

“GIANMAURO MA SEI SCEMO!? CHE CAZZO PORTI A SCUOLA!?!? QUI CI APRONO IL CULO!”

“NOOO, FABIO, MA CHE HAI CAPITO? E’ VIAGRA.”

“VIAGRA?”

“SI’, VIAGRA. MIO ZIO E’ FARMACISTA. LE HO FOTTUTE DAL SUO MAGAZZINO.”

“E CHE CAZZO CI FACCIAMO NOI CON DEL VIAGRA?”

“FABIO FABIO”, CANTILENO’ PIERGIORGIO METTENDOMI UN BRACCIO ATTORNO AL COLLO, “TU ADESSO VAI DA PERTUGI, E GLI PORTI IL SUO CAFFE’. SAI QUANTO GLI PIACE IL CAFFE’, NO? SOLO CHE QUESTA VOLTA SARA’ UN CAFFE’ CORRETTO… AL GUSTO DI VENDETTA.”

GIANMAURO SFREGO’ LE SUE MANI GRASSOCCE: “FABIO, GLI RIEMPIAMO IL CAFFE’ DI VIAGRA. GLI FACCIAMO ESPLODERE IL CAZZO!”

BALZAI ALL’INDIETRO: “EH? MA SIETE FUORI? NON POSSO FAR SALTARE IL CAZZO AL MIO PROFESSORE! TRA UNA SETTIMANA ME LO TROVO IN COMMISSIONE!”

“MA FABIO, FABIO… “, REPLICO’ PIERGIORGIO, “LUI SARA’ SOMMERSO DALL’AROMA PUNGENTE DELLA MISCELA ARABICA DELLE NOSTRE MACCHINETTE: NON CAPIRA’ MAI! FORZA NON ESSERE TITUBANTE, QUI ABBIAMO LA POSSIBILITA’ DI VENDICARTI… E RIMANERE NELLA STORIA… DUE PICCIONI CON UNA FAVA. LETTERALMENTE.”

“COMPLIMENTI PER LA BATTUTA DI MERDA.”

“ALLORA, CHE NE DICI?”

SOSPIRAI: “VABBE’. MI AVREBBE INCULATO COMUNQUE. TANTO VALE ANDARSENE CON STILE.”

“GRANDE FABIO”, ESCLAMARONO I DUE, ABBRACCIANDOMI.

POCHI MINUTI DOPO ERO LI’, COL MIO CAFFE’ SPECIALE IN MANO, DAVANTI ALLO STUDIO DI PERTUGI.

STAVO TREMANDO.

BUSSAI.

“PROF, SONO FAZIO!”

“VIENI, SEI IN RITARDO!”

APRII LA PORTA.

PERTUGI ERA LI’, DIETRO LA SCRIVANIA: ATTRAVERSO GLI SPESSI OCCHIALI STAVA FINENDO DI LEGGERE LA MIA TESI, MENTRE CON LE MANI NODOSE ACCAREZZAVA LA SUA FOLTA BARBA NERA.

“PROF LE HO PORTATO IL CAFFE’.”

“AH SI’… APPOGGIALO QUA…” RISPOSE SENZA ALZARE LO SGUARDO.

APPOGGIAI IL CAFFE’ SULLA SCRIVANIA, E MI SEDETTI SULLO SCRANNO DI FRONTE A LUI. AVEVO IL CUORE IN GOLA.

PERTUGI CHIUSE IL FASCICOLO DELLA MIA TESI E LO LASCIO’ CADERE DAVANTI A SE’, A PESO MORTO.

“FAZIO HO FINITO DI LEGGERE IL TUO LAVORO.”

“EH… VEDO PROF…COSA NE PENSA?”

“E’ UN’OTTIMA TESI, FAZIO. MA CHE DICO: ECCELLENTE. QUESTA E’ ROBA DA PUBBLICARE.”

RIMASI PARALIZZATO DALLA PERPLESSITA’: “COSA?”

“GIA’ DAL TITOLO AVEVO CAPITO CHE SI TRATTAVA DI UN LAVORO DI QUALITA’: ‘TANGENTOPOLI E LE IMPLICAZIONI OMOEROTICHE DI MANI PULITE: IL TRIANGOLO DIPIETRO-DAVIGO-BORRELLI’. QUINDI SEI CONVINTO? FARAI GIORNALISMO SESSUALE ALL’UNIVERSITA’?”

“SI’ PROF. PENSAVO DI SCEGLIERE GIORNALISMO SESSUALE, E POI SPECIALIZZARMI IN CONDUZIONE RAI.”

“FABIO, TI VEDO SORPRESO. TI ASPETTAVI UN PARERE DIVERSO?”

“AD ESSERE ONESTI PROF, MI ASPETTAVO CHE AVREBBE STRAPPATO LE PAGINE AD UNA A UNA PER PULIRCISI IL CULO.”

“AHAHAHAH. CAPISCO FABIO”, DISSE PERTUGI TOGLIENDOSI GLI OCCHIALI, “IN QUESTI ANNI SONO STATO UN PO’ DURO CON TE.”

“UN PO’?”

“VA BENE VA BENE: SONO STATO MOLTO DURO, NON C’E’ OMBRA DI DUBBIO. E TU HAI OGNI DIRITTO ED ESSERE ARRABBIATO, FORSE PERSINO A PORTARMI RANCORE. MA IL MOTIVO E’ QUESTO FABIO: FIN DALL’INIZIO AVEVO CAPITO CHE TU AVEVI DEL POTENZIALE, DEL GRANDE POTENZIALE. COME AVREI POTUTO GUARDARMI ALLO SPECCHIO, SE AVESSI LASCIATO CHE QUESTO POTENZIALE ANDASSE PERDUTO?
IO TI HO INSEGNATO A RIALZARTI, QUANDO VIENI MESSO A TERRA. TI HO INSEGNATO A MORDERE LA POLVERE, A INCASSARE, E A CONTINUARE A COMBATTERE.
E’ QUESTA L’ESSENZA DEL GIORNALISMO: LE LACRIME, E IL SANGUE, E LA VOGLIA DI ANDARE AVANTI.
MA ORA HO FINITO, FABIO. ORA SIAMO ALLA PARI. MA CHE DICO ALLA PARI: IO SONO SOLO UN POVERO INSEGNANTE DI PERIFERIA. GUARDAMI! E’ COSI’ CHE SARESTI FINITO, SE TI AVESSI LASCIATO ADAGIARE SUGLI ALLORI: UN VECCHIO PIENO DI RIMPIANTI E RIMORSI, COSTRETTO AD ACCONTENTARSI DI MAGRI PIACERI INTELLETTUALI… UN LIBRO… UN SIGARO… IL TRAMONTO… LE PICCOLE FANTASIE PROIBITE QUANDO GUARDO LE SCOLLATURE DELLE STUDENTESSE IN PRIMA FILA, IN ATTESA DI TORNARE A CASA DA UNA MOGLIE CHE NON AMO, A SDITALINARLA SU QUEL MARCIO DIVANO IKEA, PIU’ PER DOVERE CHE PER PIACERE, NELLE PAUSE PUBBLICITARIE DI BALLARO’…”

E MENTRE PARLAVA, PAREVA CHE UNA LUCE DIVERSA LO STESSE ILLUMINANDO, E SENTII CHE IL MIO MONDO SI STAVA CAPOVOLGENDO.

“… E INVECE TU FABIO … TU SEI GIOVANE, FORTE, INTELLIGENTE. HAI LA POSSIBILITA’ DI DIVENTARE IL PIU’ GRANDE GIORNALISTA SESSUALE CHE QUESTO PAESE ABBIA MAI CONOSCIUTO. VOGLIO CHE TU AFFERRI QUELLA POSSIBILITA’. VOGLIO CHE TU CONTINUI A LOTTARE, METRO DOPO METRO, PASSO DOPO PASSO, PER QUELLO CHE TI SPETTA IN QUESTO MONDO. FABIO L’ITALIA HA BISOGNO DI TE… IL GIORNALISMO HA BISOGNO DI TE… LA VERITA’……. HA BISOGNO DI TE. IO SO CHE NON CI DELUDERAI.”

E POI LA VIDI: UNA SINGOLA, PICCOLA LACRIMA, SCENDERGLI PIANO LUNGO LA GUANCIA.

SI ALZO’ IN PIEDI, ED IO LO SEGUII A RUOTA.

MI TESE LA MANO.

“FABIO TI CHIEDO SCUSA. TI CHIEDO SCUSA PER TUTTE LE VOLTE CHE TI HO FATTO DUBITARE DELLE TUE CAPACITA’.”

SCOSSI LA TESTA: “PROFESSORE, NON C’E’ NULLA DI CUI SCUSARSI.”

STRINSI FORTE LA SUA MANO, E CI GUARDAMMO, OGNUNO COL SUO SORRISO FIERO DIPINTO SUL VOLTO: NON HO MAI PROVATO, DA ALLORA, UN SIMILE SENSO DI COMPLETEZZA, DI PACE. SENTIVO CHE UN TRAGUARDO ERA STATO RAGGIUNTO, E CHE UNA NUOVA, GRANDE AVVENTURA STAVA PER COMINCIARE.

“AH GIA’! IL CAFFE’!”

“NO PROF-”

NON FECI IN TEMPO AD AVVERTIRLO: LO MANDO’ GIU’ TUTTO IN UN SORSO.

RIMASI SENZA FIATO.

“AAAAAH. BUONO”, ESCLAMO’ PERTUGI LECCANDOSI LE LABBRA, “BENE. E ORA DAMMI L’UCCELLO.”

“COSA!?!??”

“TI HO FATTO IL DISCORSO MOTIVAZIONALE. ORA MI E’ VENUTA VOGLIA DI SCOP- GHGHGHGH”

PERTUGI SI PIEGO’ IN DUE SULLA SCRIVANIA, URLANDO DAL DOLORE.

“PROF! STA MALE? CHIAMO QUALCUNO??”

DIGRIGNANDO I DENTI, PERTUGI SI STRAPPO’ LA CAMICIA.
I SUOI CAPEZZOLI, NERI COME LA PECE, SI STAVANO GONFIANDO E ALLUNGANDO A DISMISURA.

“FABIOOOOOOO”, GORGOGLIO’ IL PROFESSORE TENDENDO LA MANO VERSO DI ME, MENTRE LA SUA FACCIA SI SQUAGLIAVA COME SOTTO L’EFFETTO DI UN IMMENSO CALORE.

QUINDI GLI ABNORMI CAPEZZOLI ESPLOSERO, LIBERANDO DUE GETTI DI LIQUIDO NERO E PUTRIDO, CHE INONDARONO LA STANZA: LA CREATURA SI SGONFIO’ COME UN ORRIDO PALLONCINO, MENTRE IO ASSISTIVO ATTERRITO.

INFINE, DIETRO LA SCRIVANIA NON RIMASE CHE UNA POZZANGHERA DELL’OSCURO FLUIDO.

INCURIOSITO, NE ASSAGGIAI UN PO’ CON UN DITO.

SAPEVA DI PIANETI LONTANI, DI FORESTE BUIE E DI CIELI STELLATI.

E AVEVA UN RETROGUSTO DI GABIBBO.

L’ESAME DEL PROFESSOR ECO

ERA UN GIOVEDÌ MATTINA COME TANTI ALTRI NELL’AULA MAGNA DELLA FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE, E GLI STUDENTI AMMUCCHIATI SUI BANCHI ERANO REDUCI DA UNA SERATA A BASE DI ALCOOL, PREZZEMOLO SPACCIATO PER CANNABIS DA UN MAROCCHINO PIU’ FURBO DI LORO, E FILM RUSSI INDIPENDENTI, DI QUELLI CHE ANCHE SE FANNO CAGARE DEVI DIRE CHE SONO BELLISSIMI COSÌ LE FIGHE DI SINISTRA PENSANO CHE SEI PROFONDO E TE LA DANNO.

DI FRONTE A QUEL GREGGE DI PECORELLE TREMOLANTI STAVA, PRONTO A TOSARNE VIA IL VELLO DI ANSIA E SENSI DI COLPA, L’AUSTERO PROFESSOR UMBERTO ECO.
AD UNO AD UNO, I GIOVANI SI ACCOMODAVANO TRA LE FORCHE CAUDINE DELL’AUTOREVOLE SEMIOLOGO, E MENTRE SI ESIBIVANO IN LUNGHI SPROLOQUI, ECO SEDEVA CON LE BRACCIA CONSERTE, ANNUENDO DI TANTO IN TANTO, MA IL PIÙ DELLE VOLTE SCUOTENDO LA TESTA CON DISAPPROVAZIONE, TALORA CON DISPREZZO, MOLTIPLICANDO COSÌ L’ANGOSCIA DI COLORO CHE OSSERVAVANO IN ATTESA DEL LORO TURNO.

POI, AD UN CERTO PUNTO, SI AVVICINÒ AL PROFESSORE UNA STUDENTESSA DI PARTICOLARE PROCACIA: GLI OCCHI DELL’AULA PUNTARONO TUTTI VERSO DI LEI, MENTRE SI SEDEVA SPORGENDOSI IN AVANTI, IN MODO DA EVIDENZIARE LA GENEROSA SCOLLATURA, E ACCAVALLAVA LE COSCE TORNITE, APPENA COPERTE DA UNA DI QUELLE MINIGONNE CHE SE CI GIRI IN ARABIA SAUDITA TI LAPIDANO COSÌ FORTE CHE SI APRE UN BUCO NELLA REALTÀ.

ECO NON ERA NATO IERI: AVEVA CAPITO QUAL ERA IL SUO GIOCO.

“COME SI CHIAMA, SIGNORINA?”

“COME TUTTE LE UNIVERSITARIE AUTENTICAMENTE PORCHE, MI CHIAMO ILARIA.”

“BENE ILARIA, MI SA DIRE LE CINQUE FORME DELLA COMUNICAZIONE METALINGUISTICA SECONDO CHOMSKY?”

“EHM… LA PRIMA FORMA… È… SE NON VADA ERRATA… DOVREBBE ESSERE… I MARÒ?!?”

“NON PROPRIO…. MMMMH… VEDIAMO…FACCIAMO QUALCOSA DI PIÙ SEMPLICE: MI RECITI LA TABELLINA DELL’UNO.”

“EH, NO PROFESSORE, QUESTO IN PROGRAMMA NON C’ERA!”

“AAAAAH… POVERA ITALIA”, SOSPIRÒ IL PROFESSORE, “COME VOGLIAMO FARE QUI?”

“PROFESSORE COME AVRÀ CAPITO NON HO MOLTO STUDIATO, PERCHÉ MIA NONNA CHE STA IN PUGLIA È MORTA.”

“BEH, MI DISPIACE, SIGNORINA… CIOÉ: CHE SUA NONNA SIA MORTA NON MI DISPIACE MANCO PER IL CAZZO. MI DISPIACE CHE LEI SIA MERIDIONALE: QUESTO SPIEGA GRAN PARTE DELLE SUE LACUNE.”

“PROFESSORE IO QUESTO ESAME NON LO SO. PERÒ POSSIAMO FARE IN UN ALTRO MODO”, BISBIGLIÒ LA RAGAZZA, SFOGGIANDO UNO DI QUEI SORRISI DI CUI SOLO LE VERE ILARIE SONO CAPACI.

“AHAHAHAH, RIECCOCI QUA”, SGHIGNAZZÒ ECO.

“VA BENE RAGAZZI. UN QUARTO D’ORA DI INTERVALLO”, ANNUNCIÒ IL PROFESSORE ALL’AULA, “ANZI FACCIAMO MEZZ’ORA.”

“E LEI MI SEGUA NEL MIO UFFICIO”, DISSE PERENTORIO ALLA GIOVANE.

POCHI MINUTI DOPO LA STUDENTESSA ERA NELLO STUDIO DI ECO, MARTELLATA DA DIETRO DAI FEROCI IMPULSI PELVICI DEL PROFESSORE.

“ORA METTITI IN GINOCCHIO… BRAVA COSÌ… LA STUDENTESSA STUPIDA MA AVVENENTE CHE NON HA ALTRO MODO DI FARSI STRADA SE NON OFFRENDO LA PROPRIA CARNE: SEI UN CLICHÉ VISTO E RIVISTO, ECCO QUELLO CHE SEI, PROPRIO UN BEL CLICHÉ DI MERDA”, BOFONCHIÒ ECO, MENTRE IL VISO DELLA STUDENTESSA VENIVA INNAFFIATO DALLA BOLLENTE RUGIADA DELL’AMORE.

“SI, È VERO, SONO UN CLICHÉ, MA NON IL CLICHÉ CHE CREDE LEI, PROFESSORE”, REPLICÒ LA RAGAZZA, E RIMUOVENDO LA MASCHERA, MOSTRÒ COME SOTTO QUEL BEL VOLTO DI FANCIULLA NON CI FOSSE ALTRO CHE IL GHIGNO COMPIACIUTO DEL VILE EZIO GREGGIO.

CON UN GRIDO DI TERRORE, IL SEMIOLOGO TIRÒ SU LE MUTANDE, LASCIANDO FUORI PER LA FRETTA UNA BUONA METÀ DELLA SACCA SCROTALE. QUINDI FECE PER PRECIPITARSI VERSO LA PORTA, MA INCIAMPÒ GOFFAMENTE NEI PANTALONI ANCORA ABBASSATI. MENTRE, ANNASPANDO DISPERATO VERSO L’USCITA, SI CAGAVA E PISCIAVA ADDOSSO DELL’ORRORE, SENTÌ GREGGIO AVVICINARSI CON CALMA.

“TI PREGO, NO, NOOOOOOOOOOOOOOOO”, MA I SUOI LAMENTI RIMASERO STROZZATI DAL SILENZIO, MENTRE IL CORPO DEL PROFESSORE VENIVA RISUCCHIATO NELLA VACUITÀ ANCESTRALE DELLA FIGA DI GREGGIO.

NEREO

AMAVA ANNUSARE L’ARIA DELLA NOTTE, ALLA RICERCA DI UNA TRACCIA. E POI SCATTAVA VELOCE, A VOLTE STRISCIANDO AI MARGINI DELLE STRADE, ALTRE INNALZANDOSI SOPRA I TETTI DELLA CITTA’ ADDORMENTATA.
DA TEMPO IMMEMORE AVEVA ORMAI SMESSO DI RIFLETTERE SU CIO’ CHE FACEVA.
IL MALE? QUALCUNO UNA VOLTA AVEVA PROVATO A SPIEGARGLI QUESTO CONCETTO. GLI ERA PARSO ASTRATTO, CONFUSO, INUTILE.
ERA NATO IN UNA TERRA GIOVANE, QUANDO ANCORA IL BENE ED IL MALE NON ESISTEVANO. ERANO LEGGI DEGLI UOMINI, DESTINATE A SCOMPARIRE INSIEME A LORO. LUI OBBEDIVA ALLA LEGGE DEL MONDO, UNA LEGGE BEN PIU’ ANTICA, PER CUI IL RAGNO TESSE LA SUA TELA E ASPETTA PAZIENTE CHE LA MOSCA VI RIMANGA INTRAPPOLATA.
E IL RAGNO NON E’ MALVAGIO. E’ SEMPLICEMENTE UN RAGNO.
AVEVA VISTO LA LUNA SORGERE MIGLIAIA DI VOLTE, LE CIVILTA’ INABISSARSI PER SEMPRE NEL BUIO DEGLI OCEANI, MA ANCORA NON SI ERA STANCATO DI QUELLA SENSAZIONE, DEL CALDO FAMILIARE DELLA MORTE CHE INONDAVA LE SUE VECCHIE VENE.
NE’ GLI ERA VENUTO A NOIA IL BRIVIDO CHE PROVAVA A CAMMINARE TRA GLI ESSERI UMANI, CON LA SUA GIACCA E LA SUA CRAVATTA, A SALUTARLI COME SE FOSSE UNO DI LORO, AD ASSAPORARE LA LORO IGNORANZA, LA LORO SUPERBA CONVINZIONE DI AVERE IL CONTROLLO SULLA REALTA’, CON LA CONSAPEVOLEZZA CHE QUELLA REALTA’ APPARTENEVA A LUI, E A QUELLI COME LUI.
DI TUTTI I NOMI CHE GLI ERANO STATI DATI, IL SUO PREFERITO ERA QUELLO DEI LATINI, PERCHE’ DERIVAVA DAL NOME DELL’OSCURITA’ STESSA: NEREO.
EZIO NEREO GREGGIO.
UDI’ LA VOCE DELL’IMPIEGATO MEDIASET DA DIETRO LA PORTA DEL CAMERINO: “DOTTOR GREGGIO, STIAMO PER ANDARE IN ONDA.”
DENTRO DI LUI SENTIVA LA SUA ULTIMA VITTIMA CHE ANCORA SI CONTORCEVA AGONIZZANTE. STRINSE I MUSCOLI PELVICI, E UNO SCRICCHIOLIO DI OSSA GLI RESTITUI’ IL SILENZIO.
“SONO PRONTO.”

QUELLA VACANZA A CUBA

AVEVO 19 ANNI.
ERA IL VIAGGIO DELLA MATURITA’, E LA DESTINAZIONE CHE AVEVAMO SCELTO, CON I MIEI AMICI DEL LICEO “ALDA MERINI” DI SAVONA, ERA CUBA.
L’ISOLA CARAIBICA ERA, NELLA NOSTRA IMMAGINAZIONE DI ADOLESCENTI, UN REGNO INESPLORATO DI ALCOOL, SESSO FACILE E SPIAGGE DORATE, IL TUTTO CONDITO DA QUEL RETROGUSTO DI COMUNISMO CHE RENDE LE COSE PIU’ PICCANTI.
MA NELLA MIA MENTE LE IMMAGINI DELLE CUBANE SEMINUDE CHE DANZAVANO ALLA LUCE DELLA LUNA ERANO SOVRASTATE DAL VOLTO DI LEI: PAOLA, LA RAGAZZA DELLA TERZA FILA; PAOLA, SEMPRE GENTILE E AGGRAZIATA; PAOLA, DOLCE BENZINA SUL FUOCO DEI MIEI PIPPACCHIONI.
MENTRE L’AEREO SI AVVICINAVA A DESTINAZIONE, E TUTTI TENEVANO GLI OCCHI INCOLLATI AI FINESTRINI, IO LANCIAVO IL MIO SGUARDO TIMIDO VERSO DI LEI, E IL MIO CERVELLO VAGLIAVA MILLE DIVERSI MODI DI APPROCCIARLA, VALUTANDO PRO E CONTRO DI CIASCUNO, OGNI POTENZIALE DOMANDA E RISPOSTA, OGNI POSSIBILE EVENTUALITA’. QUESTA ERA LA MIA OCCASIONE. NON POTEVO BRUCIARMELA.
AVEVAMO AFFITTATO ALCUNI PICCOLI BUNGALOW SULLA SPIAGGIA. ERA QUASI L’ORA DEL TRAMONTO, E MI STAVO PETTINANDO CON UNA CURA SENZA PRECEDENTI. AVEVO COMPRATO UN MAZZO DI ROSE SGARGIANTI, E QUELLA SERA SAREI ANDATO DA LEI.
UN RUTTO DIETRO DI ME INTERRUPPE I MIEI PREPARATIVI: “FABIO PORCA TROIA. LE DONNE NON VOGLIONO LE ROSE. VOGLIONO IL CAZZO.”
“HA PARLATO L’ESPERTO.”
“CERTO”, REPLICO’ PIERGIORGIO, “LE DONNE APPREZZANO LE COSE CHE SI METTONO NELLA FIGA, NON QUELLE CHE SI METTONO NEI VASI.”
SORRISI.
“GRAZIE. SO CHE STAI CERCANDO DI AIUTARMI. MA PER STAVOLTA LASCIA CHE FACCIA LE COSE A MODO MIO”.
USCII E MI AVVIAI COL CUORE A MILLE VERSO IL BUNGALOW DI PAOLA.
PASSAI LESTO DI FIANCO ALLA SUA FINESTRA, E CON LA CODA DELL’OCCHIO NOTAI QUALCOSA CHE SUL MOMENTO NON RIUSCII AD ELABORARE.
BUSSAI ALLA PORTA.
NESSUNA RISPOSTA.
E ALLORA ME NE RESI CONTO. TORNAI INDIETRO, E DALLA FINESTRA VIDI L’EMPIO SPETTACOLO: PAOLA, NELLA POSIZIONE DEL BASSOTTO, STANTUFFATA CON FOGA ATLETICA DA QUELLO STRONZO DI PIERFRANCO, CHE PERALTRO MI STAVA CORDIALMENTE SUL CAZZO.
LASCIAI CADERE IL MAZZO DI ROSE E MI MISI A CORRERE.
I MIEI PROGETTI SI ERANO DISINTEGRATI IN UN ISTANTE, COME CASTELLI DI CARTE. MI SENTIVO VUOTO E DISORIENTATO.
CONTINUAI A CORRERE PER ALMENO MEZZ’ORA, FINCHE’ NON FUI LONTANO DA TUTTO E DA TUTTI, POI MI FERMAI ESAUSTO.
MI SEDETTI SULLA SPIAGGIA E CON LE LACRIME AGLI OCCHI FISSAI L’ORIZZONTE: IL SOLE STAVA COMINCIANDO A IMMERGERSI NEL MARE, E IL CIELO SI STAVA TINGENDO DI ROSSO.
SENTII UNA MANO SULLA SPALLA: “QUE PASA, COMPANERO?”
MI GIRAI DI SCATTO: LA FOLTA BARBA NERA, L’UNIFORME MILITARE E L’INCONFONDIBILE CAPPELLO NON LASCIAVANO DUBBI.
MI ASCIUGAI LE LACRIME: “COMANDANTE FIDEL!”
“FABIO, PORQUE PIANGI? QUI A CUBA C’E’ UN VECCHIO DETTO: QUANDO UN UOMO PIANGE LA CUELPA ES DE UNA MUJER O DE L’IRPEF.”
“TEMO SI TRATTI DEL PRIMO CASO, COMANDANTE.”
CASTRO SI SEDETTE DI FIANCO A ME.
“LASCIAME INDOVINAR: TIENE UN OTRO HOMBRE…”
GUARDAI IN BASSO, ANNUENDO.
“PENSAVI QUE ERA TODO POR TI, E ORA SENTI QUE NO TIENI MAS UNO SCOPO NELLA VIDA.”
ALZAI LO SGUARDO VERSO FIDEL. SEMBRAVA CHE IL VECCHIO GUERRIGLIERO AVESSE LA CAPACITA’ DI SCRUTARE NEL PROFONDO DELLA MIA ANIMA.
“NO TE PREOCUPES, FABION. E’ CAPITATO A TODOS. YO TAMBIEN ALLA TUA ETA’ ERO PIENO DI DUBBI, DI INSICUREZZE. MI SENTIVO INADEGUATO Y ODIAVO ME MISMO, Y ODIAVO DIOS POR AVERME CREATO.”
FIDEL PRESE AD ACCAREZZARSI LA BARBA. I SUOI OCCHI FISSAVANO NEL PASSATO.
“Y POI TODO CAMBIO’, CHICO. VENNE LA REVOLUCION, LA GUERILLA. IMPARAI A DISTINGUERE LE COSE IMPORTANTI DA QUELLE QUE NO LO SONO.”
ESTRASSE DUE SIGARI DALLA TASCA E ME NE PORSE UNO.
“TIENI FABIO, ASSAGGIA UN POCO DEL SAPORE DE CUBA.”
PRESI IL SIGARO FRA LE LABBRA, E UN GUSTO ANTICO MI PERVASE LA GOLA. E ALL’IMPROVVISO, BENCHE’ FOSSI DALL’ALTRA PARTE DEL MONDO, MI SENTII A CASA. QUELLO ERA LO STESSO SAPORE DI QUANDO, DA PICCOLO A SAVONA, COSTRUIVO LA CASA SULL’ALBERO INSIEME AI MIEI AMICI, LO STESSO SAPORE DELLE CAREZZE DI MIA NONNA, LO STESSO SAPORE DEL CORTILE DIETRO CASA.
“CHUPALO COSI’, BRAVO FABIO… ECCO, VEDI? SONO QUESTE LE COSE IMPORTANTI, LE COSE PEQUENE DE LA VIDA: UN SIGARO SU LA PLAYA, UNA BRISCOLA CON LOS AMIGOS, EL PROFUMO DEI TORTELINI IN BRODO, AGE OF EMPIRES II HD… COL TEMPO IMPARERAI A RICONOSCERLE. Y IMPARERAI QUE LA VIDA E’ UN’AUTOSTRADA DI POSSIBILITA’. NON C’E’ MAI UNA FINE. SI PUO’ SEMPRE RICOMINCIARE DA CAPO. ORA TI SEMBRA DI PRECIPITARE NEL VUOTO FABIO, MA DEVI SAPERE CHE C’E’ SEMPRE UN APPIGLIO.”
MI MISE LA MANO SU UNA COSCIA.
LO GUARDAI CON GLI OCCHI LUCIDI.
“GRACIAS, COMANDANTE.”
“DE NADA FABIO. DE NADA.”
“MI CHIEDEVO SOLO UNA COSA, COMANDANTE: PERCHE’ IL SUO SPAGNOLO E’ COSI’ STRANO?”
“MIA MADRE ERA DI VIMERCATE.”
CASTRO AVVICINO’ IL VOLTO AL MIO: MENTRE LA SUA MANO SCORREVA SULLA MIA COSCIA, SENTII LA BARBA ISPIDA PUNGERMI LA PELLE. AVEVA QUALCOSA DI ARTIFICIALE.
MI TIRAI INDIETRO, E LA STRAPPAI.
IL MONDO, PER UN ISTANTE, SMISE DI GIRARE: L’EMPIO ORRORE DEL VOLTO DI EZIO GREGGIO MI FISSAVA PIENO DI RABBIA E FRUSTRAZIONE.
IL VILE MI SI AVVENTO’ ADDOSSO CON FEROCIA. MI PRESE ALLA GOLA. E TESE UNA MANO VERSO I MIEI GENITALI.
RIUSCII A BLOCCARLA, MA SENTIVO I SUOI ARTIGLI SFIORARMI IL COSTUME DA BAGNO.
GREGGIO, CON LA BAVA ALLA BOCCA, MI GRACCHIO’ IN FACCIA: “DI’ LE TUE PREGHIERE FABIO. SONO PIU’ FORTE DI TE.”
STAVO PER CEDERE. CHIUSI GLI OCCHI E MI PREPARAI ALLA FINE.
POI SENTII UNO SPARO NELL’ARIA.
QUANDO RIAPRII GLI OCCHI, VIDI GREGGIO CHE VOLTEGGIAVA NELLA SUA FORMA DI GARGOYLE VERSO LA LUNA CARAIBICA. “HASTA LA VICTORIA SIEMPRE FABIO”.
PIERGIORGIO, CON LA PISTOLA ANCORA FUMANTE, MI AIUTO’ A RIALZARMI.
“BEH VEDO CHE DA SCOPARE COMUNQUE AVEVI TROVATO.”
“AHAHAHAH, VERO?”
POI SI FECE SERIO, E ABBASSO’ LO SGUARDO:
“MI DISPIACE PER PAOLA FABIO.”
“A ME NO. NON MI DISPIACE AFFATTO, PIERGIORGIO. TI VOGLIO BENE.”
LO ABBRACCIAI.
“ANCHE IO, FABIO. ANCHE IO.”