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IL SEVERO PROFESSOR PERTUGI

ERANO GLI ULTIMI, TORRIDI GIORNI DELL’ULTIMO ANNO DI SCUOLA, AL LICEO CLASSICO “ALDA MERINI” DI SAVONA, ED IL MIO GIOVANE SPIRITO ERA TESO COME UNA CORDA DI VIOLINO: AVEVO APPENA SCOPERTO CHE FRA I COMMISSARI INTERNI DELL’ESAME DI MATURITA’ VI SAREBBE STATA LA MIA NEMESI, IL SEVERO PROFESSOR PERTUGI.

NEL CORSO DEI CINQUE ANNI PRECEDENTI, PERTUGI NON AVEVA PERSO OCCASIONE PER UMILIARMI E METTERMI IN IMBARAZZO DI FRONTE AI MIEI COMPAGNI DI CLASSE: OGNI VOLTA CHE MI ALZAVO IN PIEDI PER UN’INTERROGAZIONE SAPEVO CHE SAREI STATO IL PROTAGONISTA DI UN PICCOLO NUMERO CIRCENSE, UN NUMERO IN CUI IL POVERO FABIO, IN EQUILIBRIO SULLA SOTTILISSIMA CORDA DELLE SUE PUR RISPETTABILI COMPETENZE CULTURALI, AVREBBE TENTATO GOFFAMENTE DI SCHIVARE UNA FITTA PIOGGIA DI LETALI PROIETTILI DI MERDA.

PERTUGI ERA DI QUEI PROFESSORI VECCHIO STILE, DI QUELLI CHE NON AVEVANO PAURA DI DIRTI IN FACCIA CHE SEI UNA NULLITA’, UNO CHE NELLA VITA AVEVA FALLITO ANCORA PRIMA DI INIZIARE, E ALL’EPOCA ERO CONVINTO CHE LO FACESSE PERCHE’, SOTTO SOTTO, PROVAVA PIACERE.

UNA VOLTA AVEVA DETTO AI MIEI GENITORI: “NON E’ CHE SUO FIGLIO SIA STUPIDO, E’ CHE NON SI IMPEGNA… NO SCUSATE VOLEVO DIRE IL CONTRARIO. E POI E’ BRUTTO, E’ VERAMENTE BRUTTO. SIETE SICURI CHE SIA FIGLIO VOSTRO?”

PERTUGI ERA CRUDELE CON TUTTI GLI STUDENTI, E GODEVA DI UN ODIO GENERALIZZATO ALL’INTERNO DELLA SCUOLA, MA IO NON POTEVO FARE A MENO DI SENTIRMI PARTICOLARMENTE PRESO DI MIRA.

E QUINDI QUELLA MATTINA ME NE STAVO CON I GOMITI SUL BANCO, LE MANI ATTORNO ALLA TESTA, E LO SGUARDO IN BASSO, A PROGETTARE UN MODO PER CONTENERE I DANNI: PERTUGI MI ASPETTAVA, QUEL POMERIGGIO, PER DISCUTERE DELLA MIA TESI DI MATURITA’, UNA PROSPETTIVA CHE NON PROMETTEVA NULLA DI BUONO.

“EHI FABIONE… FABIONE!” , BISBIGLIO’ PIERGIORGIO DAL BANCO DAVANTI, “VAI A PARLARE CON PERTUGI OGGI?”
“SI GUARDA, LASCIA PERDERE…”

“NO, NON LASCIO PERDERE FABIO! SEI MIO AMICO, E QUEL PEZZO DI MERDA TI HA FATTO TRIBOLARE PER CINQUE ANNI… PRIMA STAVO PARLANDO CON GIANMAURO… ABBIAMO TROVATO UN MODO PER FARGLIELA PAGARE.”

“CIOE’?”

“CI BECCHIAMO OGGI ALLE DUE, DALLE MACCHINETTE DEL CAFFE’.”

INTRIGATO DALLA PROPOSTA DI PIERGIORGIO, MI PRESENTAI ALL’APPUNTAMENTO: LUI E GIANMAURO ERANO LI’ CHE MI ASPETTAVANO NELL’AREA RISTORO, ED ERANO VISIBILMENTE ECCITATI. PIERGIORGIO MI BATTE’ LA MANO SULLA SPALLA:
“FABIONE, QUI FACCIAMO LA STORIA. DIGLIELO GIANMAURO!”

GIANMAURO SI INFILO’ UNA MANO IN TASCA, E NE ESTRASSE UNA MANCIATA DI COMPRESSE BLU.

“GIANMAURO MA SEI SCEMO!? CHE CAZZO PORTI A SCUOLA!?!? QUI CI APRONO IL CULO!”

“NOOO, FABIO, MA CHE HAI CAPITO? E’ VIAGRA.”

“VIAGRA?”

“SI’, VIAGRA. MIO ZIO E’ FARMACISTA. LE HO FOTTUTE DAL SUO MAGAZZINO.”

“E CHE CAZZO CI FACCIAMO NOI CON DEL VIAGRA?”

“FABIO FABIO”, CANTILENO’ PIERGIORGIO METTENDOMI UN BRACCIO ATTORNO AL COLLO, “TU ADESSO VAI DA PERTUGI, E GLI PORTI IL SUO CAFFE’. SAI QUANTO GLI PIACE IL CAFFE’, NO? SOLO CHE QUESTA VOLTA SARA’ UN CAFFE’ CORRETTO… AL GUSTO DI VENDETTA.”

GIANMAURO SFREGO’ LE SUE MANI GRASSOCCE: “FABIO, GLI RIEMPIAMO IL CAFFE’ DI VIAGRA. GLI FACCIAMO ESPLODERE IL CAZZO!”

BALZAI ALL’INDIETRO: “EH? MA SIETE FUORI? NON POSSO FAR SALTARE IL CAZZO AL MIO PROFESSORE! TRA UNA SETTIMANA ME LO TROVO IN COMMISSIONE!”

“MA FABIO, FABIO… “, REPLICO’ PIERGIORGIO, “LUI SARA’ SOMMERSO DALL’AROMA PUNGENTE DELLA MISCELA ARABICA DELLE NOSTRE MACCHINETTE: NON CAPIRA’ MAI! FORZA NON ESSERE TITUBANTE, QUI ABBIAMO LA POSSIBILITA’ DI VENDICARTI… E RIMANERE NELLA STORIA… DUE PICCIONI CON UNA FAVA. LETTERALMENTE.”

“COMPLIMENTI PER LA BATTUTA DI MERDA.”

“ALLORA, CHE NE DICI?”

SOSPIRAI: “VABBE’. MI AVREBBE INCULATO COMUNQUE. TANTO VALE ANDARSENE CON STILE.”

“GRANDE FABIO”, ESCLAMARONO I DUE, ABBRACCIANDOMI.

POCHI MINUTI DOPO ERO LI’, COL MIO CAFFE’ SPECIALE IN MANO, DAVANTI ALLO STUDIO DI PERTUGI.

STAVO TREMANDO.

BUSSAI.

“PROF, SONO FAZIO!”

“VIENI, SEI IN RITARDO!”

APRII LA PORTA.

PERTUGI ERA LI’, DIETRO LA SCRIVANIA: ATTRAVERSO GLI SPESSI OCCHIALI STAVA FINENDO DI LEGGERE LA MIA TESI, MENTRE CON LE MANI NODOSE ACCAREZZAVA LA SUA FOLTA BARBA NERA.

“PROF LE HO PORTATO IL CAFFE’.”

“AH SI’… APPOGGIALO QUA…” RISPOSE SENZA ALZARE LO SGUARDO.

APPOGGIAI IL CAFFE’ SULLA SCRIVANIA, E MI SEDETTI SULLO SCRANNO DI FRONTE A LUI. AVEVO IL CUORE IN GOLA.

PERTUGI CHIUSE IL FASCICOLO DELLA MIA TESI E LO LASCIO’ CADERE DAVANTI A SE’, A PESO MORTO.

“FAZIO HO FINITO DI LEGGERE IL TUO LAVORO.”

“EH… VEDO PROF…COSA NE PENSA?”

“E’ UN’OTTIMA TESI, FAZIO. MA CHE DICO: ECCELLENTE. QUESTA E’ ROBA DA PUBBLICARE.”

RIMASI PARALIZZATO DALLA PERPLESSITA’: “COSA?”

“GIA’ DAL TITOLO AVEVO CAPITO CHE SI TRATTAVA DI UN LAVORO DI QUALITA’: ‘TANGENTOPOLI E LE IMPLICAZIONI OMOEROTICHE DI MANI PULITE: IL TRIANGOLO DIPIETRO-DAVIGO-BORRELLI’. QUINDI SEI CONVINTO? FARAI GIORNALISMO SESSUALE ALL’UNIVERSITA’?”

“SI’ PROF. PENSAVO DI SCEGLIERE GIORNALISMO SESSUALE, E POI SPECIALIZZARMI IN CONDUZIONE RAI.”

“FABIO, TI VEDO SORPRESO. TI ASPETTAVI UN PARERE DIVERSO?”

“AD ESSERE ONESTI PROF, MI ASPETTAVO CHE AVREBBE STRAPPATO LE PAGINE AD UNA A UNA PER PULIRCISI IL CULO.”

“AHAHAHAH. CAPISCO FABIO”, DISSE PERTUGI TOGLIENDOSI GLI OCCHIALI, “IN QUESTI ANNI SONO STATO UN PO’ DURO CON TE.”

“UN PO’?”

“VA BENE VA BENE: SONO STATO MOLTO DURO, NON C’E’ OMBRA DI DUBBIO. E TU HAI OGNI DIRITTO ED ESSERE ARRABBIATO, FORSE PERSINO A PORTARMI RANCORE. MA IL MOTIVO E’ QUESTO FABIO: FIN DALL’INIZIO AVEVO CAPITO CHE TU AVEVI DEL POTENZIALE, DEL GRANDE POTENZIALE. COME AVREI POTUTO GUARDARMI ALLO SPECCHIO, SE AVESSI LASCIATO CHE QUESTO POTENZIALE ANDASSE PERDUTO?
IO TI HO INSEGNATO A RIALZARTI, QUANDO VIENI MESSO A TERRA. TI HO INSEGNATO A MORDERE LA POLVERE, A INCASSARE, E A CONTINUARE A COMBATTERE.
E’ QUESTA L’ESSENZA DEL GIORNALISMO: LE LACRIME, E IL SANGUE, E LA VOGLIA DI ANDARE AVANTI.
MA ORA HO FINITO, FABIO. ORA SIAMO ALLA PARI. MA CHE DICO ALLA PARI: IO SONO SOLO UN POVERO INSEGNANTE DI PERIFERIA. GUARDAMI! E’ COSI’ CHE SARESTI FINITO, SE TI AVESSI LASCIATO ADAGIARE SUGLI ALLORI: UN VECCHIO PIENO DI RIMPIANTI E RIMORSI, COSTRETTO AD ACCONTENTARSI DI MAGRI PIACERI INTELLETTUALI… UN LIBRO… UN SIGARO… IL TRAMONTO… LE PICCOLE FANTASIE PROIBITE QUANDO GUARDO LE SCOLLATURE DELLE STUDENTESSE IN PRIMA FILA, IN ATTESA DI TORNARE A CASA DA UNA MOGLIE CHE NON AMO, A SDITALINARLA SU QUEL MARCIO DIVANO IKEA, PIU’ PER DOVERE CHE PER PIACERE, NELLE PAUSE PUBBLICITARIE DI BALLARO’…”

E MENTRE PARLAVA, PAREVA CHE UNA LUCE DIVERSA LO STESSE ILLUMINANDO, E SENTII CHE IL MIO MONDO SI STAVA CAPOVOLGENDO.

“… E INVECE TU FABIO … TU SEI GIOVANE, FORTE, INTELLIGENTE. HAI LA POSSIBILITA’ DI DIVENTARE IL PIU’ GRANDE GIORNALISTA SESSUALE CHE QUESTO PAESE ABBIA MAI CONOSCIUTO. VOGLIO CHE TU AFFERRI QUELLA POSSIBILITA’. VOGLIO CHE TU CONTINUI A LOTTARE, METRO DOPO METRO, PASSO DOPO PASSO, PER QUELLO CHE TI SPETTA IN QUESTO MONDO. FABIO L’ITALIA HA BISOGNO DI TE… IL GIORNALISMO HA BISOGNO DI TE… LA VERITA’……. HA BISOGNO DI TE. IO SO CHE NON CI DELUDERAI.”

E POI LA VIDI: UNA SINGOLA, PICCOLA LACRIMA, SCENDERGLI PIANO LUNGO LA GUANCIA.

SI ALZO’ IN PIEDI, ED IO LO SEGUII A RUOTA.

MI TESE LA MANO.

“FABIO TI CHIEDO SCUSA. TI CHIEDO SCUSA PER TUTTE LE VOLTE CHE TI HO FATTO DUBITARE DELLE TUE CAPACITA’.”

SCOSSI LA TESTA: “PROFESSORE, NON C’E’ NULLA DI CUI SCUSARSI.”

STRINSI FORTE LA SUA MANO, E CI GUARDAMMO, OGNUNO COL SUO SORRISO FIERO DIPINTO SUL VOLTO: NON HO MAI PROVATO, DA ALLORA, UN SIMILE SENSO DI COMPLETEZZA, DI PACE. SENTIVO CHE UN TRAGUARDO ERA STATO RAGGIUNTO, E CHE UNA NUOVA, GRANDE AVVENTURA STAVA PER COMINCIARE.

“AH GIA’! IL CAFFE’!”

“NO PROF-”

NON FECI IN TEMPO AD AVVERTIRLO: LO MANDO’ GIU’ TUTTO IN UN SORSO.

RIMASI SENZA FIATO.

“AAAAAH. BUONO”, ESCLAMO’ PERTUGI LECCANDOSI LE LABBRA, “BENE. E ORA DAMMI L’UCCELLO.”

“COSA!?!??”

“TI HO FATTO IL DISCORSO MOTIVAZIONALE. ORA MI E’ VENUTA VOGLIA DI SCOP- GHGHGHGH”

PERTUGI SI PIEGO’ IN DUE SULLA SCRIVANIA, URLANDO DAL DOLORE.

“PROF! STA MALE? CHIAMO QUALCUNO??”

DIGRIGNANDO I DENTI, PERTUGI SI STRAPPO’ LA CAMICIA.
I SUOI CAPEZZOLI, NERI COME LA PECE, SI STAVANO GONFIANDO E ALLUNGANDO A DISMISURA.

“FABIOOOOOOO”, GORGOGLIO’ IL PROFESSORE TENDENDO LA MANO VERSO DI ME, MENTRE LA SUA FACCIA SI SQUAGLIAVA COME SOTTO L’EFFETTO DI UN IMMENSO CALORE.

QUINDI GLI ABNORMI CAPEZZOLI ESPLOSERO, LIBERANDO DUE GETTI DI LIQUIDO NERO E PUTRIDO, CHE INONDARONO LA STANZA: LA CREATURA SI SGONFIO’ COME UN ORRIDO PALLONCINO, MENTRE IO ASSISTIVO ATTERRITO.

INFINE, DIETRO LA SCRIVANIA NON RIMASE CHE UNA POZZANGHERA DELL’OSCURO FLUIDO.

INCURIOSITO, NE ASSAGGIAI UN PO’ CON UN DITO.

SAPEVA DI PIANETI LONTANI, DI FORESTE BUIE E DI CIELI STELLATI.

E AVEVA UN RETROGUSTO DI GABIBBO.