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LA CENA DI CLASSE

NON AMO GUARDARMI ALLE SPALLE: L’ESPERIENZA HA RADICATO IN ME LA CONVINZIONE CHE SE UNA PERSONA SENTE IL BISOGNO DI GUARDARSI INDIETRO SIGNIFICA CHE CIÒ CHE HA DAVANTI, IN FONDO, NON È MOLTO INCORAGGIANTE. E PER UN UOMO DI SUCCESSO COME ME UN ATTEGGIAMENTO DEL GENERE È INUTILE, SE NON CONTROPRODUCENTE.

E COSÌ CHE CERCO DI VIVERE, ALMENO NELLE INTENZIONI.

MA, A ONOR DEL VERO, MI RENDO CONTO DI NON ESSERE AFFATTO IMMUNE AL CANTO DI QUELLE SIRENE, AL PIACERE COLPEVOLE CHE SI PROVA QUANDO IL BRIVIDO DEL PASSATO RISALE LA SPINA DORSALE, LA CONFERMA AMARA CHE UNA PARTE DI SE STESSI SI È PERSA PER SEMPRE E, NEL BENE E NEL MALE, SI È CRISTALLIZZATA IN UN RICORDO INERTE.

IMMAGINERETE PERTANTO QUALI SENTIMENTI CONTRASTANTI AVESSE SUSCITATO IN ME IL RICEVERE, QUALCHE TEMPO FA, L’INVITO AD UNA CENA CON I MIEI VECCHI COMPAGNI DI LICEO.

IO, CHE ROVISTANDO TRA LA POSTA SONO ABITUATO A TROVARE SOLO BOLLETTE E COMUNICAZIONI DELLA RAI, MI IMBATTEI IN UNA LETTERA SCRITTA DA UNA PERSONA IN CARNE ED OSSA.

CHI SCRIVE PIÙ LETTERE, DI QUESTI TEMPI?

RICONOBBI LA CALLIGRAFIA PRIMA ANCORA DI ARRIVARE ALLA FINE, A QUEL “A PRESTO, GIANMAURO” CHE SAPEVA TANTO DI INTIMAZIONE. ERA PIÙ INCERTO E TREMOLANTE, FORSE PIÙ SAGGIO, MA ERA INDUBBIAMENTE IL TRATTO DEL MIO VECCHIO AMICO.

CHIAMAI PIERGIORGIO, PER CAPIRCI QUALCOSA DI PIÙ. MI DISSE CHE -SÌ- SAREBBE STATA UNA GRANDE RIMPATRIATA, CHE CI SAREBBERO STATI TUTTI, E CHE GIANMAURO NON AVREBBE ACCETTATO SCUSE.

“SO DI FARE APPELLO AL TUO BUON CUORE FABIO. DEL RESTO NON VORRAI MICA FARMI ANDARE DA SOLO? DAI CAZZO…”

TIRAI UN SOSPIRO DI RASSEGNAZIONE: “TI PASSO A PRENDERE.”

APPENA FUORI SAVONA LA STRADA SI INERPICAVA TRA I COLLI, TUFFANDOSI NELLA CALMA DELLA CAMPAGNA.

MI SENTIVO STRANAMENTE INQUIETO, PROBABILMENTE AL PENSIERO DEI SILENZI IMBARAZZANTI CHE SI SAREBBERO CREATI FRA ME E QUELLA GENTE CHE NON VEDEVO DA SECOLI. MA C’ERA ANCHE QUALCOS’ALTRO.

“NON SAPEVO CHE GIANMAURO SI FOSSE TRASFERITO.”

PIERGIORGIO, A DIFFERENZA DI ME, PAREVA ASSOLUTAMENTE TRANQUILLO: “È UNA COSA DI QUALCHE ANNO FA; HA TRASLOCATO QUI SUBITO DOPO IL MATRIMONIO.”

“IL MATRIMONIO?”

“SÌ, NON TE L’HANNO DETTO? CON UNA DONNA LIBANESE, MI PARE…”

“MA PENSA UN PO’ QUEL VECCHIO MATTO…”

“ED È PURE UNA GRAN BELLA CASA… ECCO, GUARDA, CI SIAMO…”
OLTRE IL CANCELLO D’INGRESSO SI APRIVA UN BREVE VIALETTO FIANCHEGGIATO DA DUE FILE DI SALICI; E NELLO SPIAZZO DI FRONTE ALLA CASA ERANO GIÀ PARCHEGGIATE UN PAIO DI MACCHINE.

ERA UNA VILLETTA IN STILE LIBERTY, CON UN PRATO BEN CURATO CIRCONDATO DA SIEPI ALTE, A SEGNARE IL CONFINE. IL PORTONE ERA INCORNICIATO DA DUE GLICINI, E SULLA PARETE SI ABBARBICAVA TENACE L’EDERA SELVAGGIA.

AVEVA UN CHE DI RITIRO MALINCONICO, DI ISOLATO, COME SE GIANMAURO AVESSE DECISO CHE IL MONDO NON FACEVA PIÙ PER LUI; ED ERA UNA COSA CHE CONTRASTAVA IN MODO NETTO CON LA PERSONA CHE RICORDAVO.

“FABIO! PIERGIORGIO!”

IL PADRONE DI CASA SI ERA MATERIALIZZATO SULLA SOGLIA, AL FIANCO DI UNA BELLA SIGNORA DALLA CARNAGIONE OLIVASTRA: AVEVA I CAPELLI ORMAI BRIZZOLATI, E SI ERA FATTO CRESCERE UNA FOLTA BARBA; SEMBRAVA PIÙ MAGRO DALL’ULTIMA VOLTA CHE L’AVEVO VISTO; IL VOLTO APPARIVA EMACIATO, CONSUNTO, E DOVE MI ASPETTAVO DI TROVARE LE SUE VECCHIE GUANCE PAFFUTE ORA DOMINAVANO DEGLI ZIGOMI SEVERI.

INOLTRE SI APPOGGIAVA AD UN BASTONE DI LEGNO, PIÙ PER VEZZO CHE PER NECESSITÀ, AVEVO SENTITO, E PAREVA PERSINO UN PO’ CURVO; MA FORSE MI STAVO SUGGESTIONANDO DA SOLO…

“GIANMAURO, NON SEI INVECCHIATO DI UN GIORNO…”

“VENITE, ENTRATE. DENTRO CI SONO GLI ALTRI… HANA HA PREPARATO UN APERITIVO.”

L’ATRIO ERA AMPIO, ILLUMINATO DA UN GRANDE LAMPADARIO E ZEPPO DI QUADRI E MOBILI ANTICHI.

PAOLA E PIERFRANCO CI VENNERO INCONTRO RAGGIANTI.

SI ERANO SPOSATI ED ERANO GIÀ AL SECONDO FIGLIO: ANCHE PER LORO LE PERIPEZIE DELLA GIOVINEZZA AVEVANO CEDUTO IL POSTO ALLA GRIGIA RESPONSABILITÀ DELL’ETÀ ADULTA.

E PAOLA NON ERA PIÙ LA STESSA: LE SUE FAMIGERATE ROTONDITÀ SI ERANO LASCIATE AFFLOSCIARE DALL’INTEMPERIA DEGLI ANNI.

CI SCAMBIAMMO QUALCHE FRASE DI CIRCOSTANZA. FINSI DI ASCOLTARLA E DI ANNUIRE, MENTRE MI RACCONTAVA DELLA GRAVIDANZA, DEL LAVORO, DELLA FELICITÀ DI AVERE UN PARGOLO TRA LE BRACCIA PER LA PRIMA VOLTA: IN REALTÀ MI STAVO CHIEDENDO SE NON RIMPIANGESSE DI AVER SCELTO PIERFRANCO, INVECE DI ME; MA QUEI PENSIERI DI BASSA RIVALSA NON SI CONFACEVANO AL MIO ORGOGLIO…

CI INTERRUPPE HANA, RECANDOCI UN VASSOIO DI CALICI DI CAMPARI: APPROFITTAI DELL’ATTIMO DI DISTRAZIONE PER SGATTAIOLARE VIA -COL MIO APERITIVO- IN UNA STANZA LATERALE.

ERA UNA SALA UN PO’ PIÙ SPOGLIA DELLE ALTRE, CON LA PARETE DOMINATA DA UN FRAMMENTO DI BASSORILIEVO: UNA FOLLA DI UOMINI IN GINOCCHIO DI FRONTE AD UN TRONO, IN ADORAZIONE; SUL TRONO ERA ASSISA UNA FIGURA GROTTESCA, DAL CORPO IN PARTE UMANO E IN PARTE FERINO; CERCAI DI CAPIRE A QUALE PERSONAGGIO MITOLOGICO POTESSE RIFERIRSI, MA NEL PUNTO CHE CORRISPONDEVA AL VOLTO LA PIETRA ERA STATA SCHEGGIATA VIA A COLPI DI SCALPELLO…

“GLI ISRAELITI VENERANO UNO DEGLI DEI DI CANAAN, PRIMA CHE YAWHEH, L’UNICO, STABILISCA IL SUO DOMINIO SUGLI ALTRI…”

“GIANMAURO… SCUSA SE MI SONO MESSO A CURIOSARE IN GIRO…”

“FIGURATI FABIO… DA QUANDO CI SONO TUTTE QUESTE GUERRE, IN MEDIO ORIENTE, DAL MERCATO NERO DELLE ANTICHITÀ ARRIVANO ROBE DAVVERO DI PREGIO… NON COME PRIMA, QUANDO ERANO TUTTI FALSI O CIANFRUSAGLIE…”

“QUINDI È QUESTO CHE FAI ADESSO?”

“GIÀ… HO COMINCIATO SUBITO DOPO IL DIPLOMA. ALL’INIZIO È STATO DIFFICILE, MA UNA VOLTA CHE ENTRI NEL GIRO DIVENTA PARTICOLARMENTE REDDITIZIO, COME PUOI VEDERE.”

“LO VEDO ECCOME… NON MI DISPIACE QUESTO GENERE DI COSE, TI DIRÒ… QUESTO PEZZO A QUANTO LO FAI?”

“OH QUESTO NON LO VENDO, FABIO”, MORMORÒ GIANMAURO PICCHIETTANDO CON LE DITA SUL SUO CALICE, “QUESTO È UN OGGETTO SACRO… NON POSSO VENDERE LE COSE SACRE… È UNA COSA CHE DISSE UNA VOLTA IL PROFESSOR PERTUGI, SE RICORDI…”

SENTIVO CHE MI STAVA OSSERVANDO, NEL TENTATIVO DI INCROCIARE IL MIO SGUARDO, MA IO MANTENNI GLI OCCHI FISSI SUL BASSORILIEVO: IL SUO TONO DI VOCE MI TURBAVA.

“NO, A DIRE IL VERO… NON RICORDO.”

“DISSE CHE L’UNICO VERO ASPETTO CHE DISTINGUE GLI UOMINI DALLE BESTIE È IL RISPETTO PER LE COSE SACRE.”

MI GIRAI VERSO DI LUI CON UN SORRISO NERVOSO: “AH… PENSAVO FOSSERO LA SCIENZA, LA RAGIONE, E IL FATTO CHE NON CI TIRIAMO MERDA ADDOSSO L’UN L’ALTRO EMETTENDO VERSI GUTTURALI…”

GIANMAURO SOGGHIGNÒ: “MA SÌ CHE LO FACCIAMO FABIO, SOLO IN MODO PIÙ SOTTILE E RAFFINATO… NO, SECONDO ME È COME DICEVA PERTUGI… SAI, MI SONO TROVATO A PENSARE SPESSO A LUI IN QUESTI ANNI: CREDO SIA LA RAGIONE PER CUI SONO DIVENTATO PIÙ RELIGIOSO, INVECCHIANDO…”

“SEI DIVENTATO PIÙ RELIGIOSO?”

“BEH, NON NEL SENSO TRADIZIONALE DEL TERMINE… DIREI PIÙ PIO CHE RELIGIOSO… MA CREDO DI SÌ. DEL RESTO È INEVITABILE PER TUTTI. A TE NON È CAPITATO, FABIO?”

“NO, NON DIREI. HO TROVATO ALTRI MODI PER INCANALARE IL MIO MALESSERE.”

“TIPO?”

“SAI, LA TELEVISIONE…”

“OH CERTO…”

RIMASE IN SILENZIO A GUARDARMI PER QUALCHE SECONDO, COME SE VOLESSE DIRMI QUALCOSA DI IMPORTANTE MA UNA FORZA MISTERIOSA LO STESSE TRATTENENDO.

SORRISE.

“VIENI FABIO… LA CENA È QUASI PRONTA.”

INTORNO ALLA TAVOLA DI MOGANO LEVIGATO ERAVAMO SOLO NOI CINQUE, QUANDO HANA ARRIVÒ A SERVIRCI UN’INVITANTE BATTUTA DI FASSONA.

“MA NON DOVEVAMO ESSERCI TUTTI?”

GIANMAURO ALZÒ LE SPALLE: “POCHI MA BUONI. OGNUNO HA I SUOI IMPEGNI, FABIO…”

“GIANCARLO HA AVUTO UN ICTUS IL MESE SCORSO”, OSSERVÒ PIERGIORGIO.

“NOOOO…” CINQUETTARONO ALL’UNISONO PAOLA E PIERFRANCO, CON UN TONO DI ARTIFICIALE COMPASSIONE.

“PROPRIO COSÌ… PENSO STIA ANCORA RECUPERANDO.”

“LE STRADE SI DIVARICANO… SI PERDONO… E QUALCUNA FINISCE”, MORMORÒ GIANMAURO, “STAVO PROPRIO PARLANDO CON FABIO DEL BUON VECCHIO PROF. PERTUGI.”

“AHAHAH… E CHI SE LO DIMENTICA QUELLO!” ESCLAMÒ PIERFRANCO, “COM’ERA IL NOMIGNOLO CHE TI AVEVA DATO, FABIO?”

“FABIO CAGARELLA”, RISPOSI CON UN SORRISO IMBARAZZATO, “NON PARTICOLARMENTE ACCADEMICO.”

“SCOMPARVE APPENA PRIMA DEI NOSTRI ESAMI DI MATURITÀ, VI RICORDATE?” OSSERVÒ PAOLA.

PIERFRANCO ALZÒ IL BICCHIERE IN ALTO: “UN BEL COLPO DI FORTUNA PER TUTTI, A MIO PARERE.”

“SÌ MA CHE FINE HA FATTO?” PROSEGUÌ GIANMAURO, “TU SEI STATO UNO DEGLI ULTIMI A VEDERLO, FABIO, QUEL GIORNO NEL SUO UFFICIO…”

“NON SAPREI”, RISPOSI TENENDO LO SGUARDO IN BASSO SULLA MIA FASSONA, “A VOLTE LE PERSONE SCOMPAIONO SEMPLICEMENTE… NEL NULLA…”

“GIÀ… NEL NULLA… CAPITA SPESSO ALLA GENTE CHE TI È VICINA, VERO FABIO?”

ALZAI LO SGUARDO VERSO GIANMAURO: SAPEVO CHE MI STAVA FISSANDO; LO AVEVA FATTO PER TUTTA LA SERATA. MA ORA LA SENSAZIONE DI ESTRANEITÀ DI QUEI PICCOLI OCCHI SCURI SI ERA FATTA PIÙ INTENSA CHE MAI: LI SENTIVO SCANDAGLIARE I MIEI PENSIERI, ALLA RICERCA DI UN PUNTO DEBOLE.

“GIANMAURO, A CHE GIOCO STAI GIOCANDO? CI CHIAMI QUI PER UNA SERATA TRANQUILLA FRA AMICI, E POI TIRI FUORI QUESTE COSE? AVEVAMO DECISO DI NON PARLARNE! CHE COSA TI È PRESO?”

UN SILENZIO TESO CALÒ NELLA SALA, MENTRE CI FISSAVAMO DA UN CAPO ALL’ALTRO DELLA TAVOLA.

“FANTASTICA QUESTA FASSONA!” BORBOTTÒ IMBARAZZATO PIERFRANCO, “MA C’È QUALCHE SALSA CHE NON RIESCO A RICONOSCERE…”

“OH, MERITO DELLA MIA HANA”, RISPOSE GIANMAURO SENZA TOGLIERMI GLI OCCHI DI DOSSO.

“AH QUINDI È UNA ROBA… LIBANESE? HANA, LEI È DEL LIBANO, NO?”

HANA RIMASE IN SILENZIO.

IN EFFETTI NON AVEVA SPICCICATO PAROLA PER TUTTA LA SERATA: ALL’INIZIO AVEVO PENSATO FOSSE PER TIMIDEZZA, O PER IGNORANZA DELLA LINGUA; MA IN QUEL MOMENTO MI SOVVENNE QUANTO FOSSE SOSPETTO CHE NON AVESSE PROVATO NEANCHE A RIVOLGERCI UN SALUTO DI BENVENUTO.

“SIRIA, EGITTO?”

“HANA NON SA DOV’È NATA. SA SOLO CHE È STATO MOLTO TEMPO FA…”

“SE È STATO MOLTO TEMPO FA, I MIEI COMPLIMENTI: NON LE DO PIÙ DI TRENT’ANNI! DOVRESTI BACIARTI I GOMITI, GIANMAURO!”

GIANMAURO PRESE A SFREGARSI LE MANI:

“NO, VEDETE… NON HA UN’ETÀ CHE PUÒ ESSERE QUANTIFICATA IN ANNI… DAL MOMENTO CHE È NATA PRIMA CHE ESISTESSE IL CONCETTO DI ANNI…”

SCATTAI IN PIEDI: “BENE, SI È FATTO TARDI GIANMAURO. NON TI DISPIACERÀ SE LEVIAMO LE TENDE…”

“MA COME? DEVE ANCORA ARRIVARE IL DOLCE!”

“PENSO CHE SALTEREMO PER STAVOLTA”, REPLICÒ PIERGIORGIO SEGUENDOMI A RUOTA.

ALL’IMPROVVISO LA LUCE SI SPENSE, LASCIANDO LA SALA SEMI-ILLUMINATA DAL TENUE BAGLIORE DEL CREPUSCOLO.

UNA VOCE PROFONDA, DISTORTA E INUMANA, MA AL TEMPO STESSO FAMILIARE, MI RAGGELÒ IL SANGUE NELLE VENE: “CREDO PROPRIO CHE TU DEBBA RESTARE PER IL DOLCE, FABIO.”

CI GIRAMMO VERSO HANA: MA AL SUO POSTO, A TAVOLA, NON C’ERA PIÙ LA BELLA RAGAZZA DAI TRATTI LEVANTINI.

“EZIO GREGGIO! GIANMAURO, SCAPPA! È GREGGIO!”

“PERCHÉ DOVREI?” GHIGNÒ NEL BUIO GIANMAURO, “CREDO TU ABBIA FRAINTESO LA SITUAZIONE.”

IO E PIERGIORGIO CI GUARDAMMO SBIGOTTITI.

“SEI DALLA SUA PARTE?” GLI URLAI, “MA PERCHÉ? PERCHÉ LO HAI FATTO!”

MENTRE GREGGIO MI GUARDAVA CON LA SUA FERALE SMORFIA, NOTAI CON ORRORE CHE DAL SUO DORSO STAVANO SPUNTANDO DECINE DI TENTACOLI IMMENSI E VISCIDI.

“PER DIO, STA ASSUMENDO LA SUA FORMA DI POLPO!!!”, ESCLAMÒ PIERGIORGIO.

“TI SBAGLI, PIERGIORGIO”, SGHIGNAZZÒ GREGGIO NEL SUO TONO LUGUBRE, “QUESTA È LA MIA FORMA DI MOSCARDINO INFERNALE!”

VEDENDO QUELLO SPETTACOLO RACCAPRICCIANTE, PAOLA SI MISE A GRIDARE DI TERRORE.

IN UN ISTANTE, GREGGIO PROIETTÒ UNO DEI SUOI TENTACOLI NELLA GOLA SPALANCATA DELLA DONNA, TRAPASSANDOLA DA PARTE A PARTE ED EMERGENDO DALLA NUCA IN MILLE SCHIZZI DI SANGUE E MATERIA CEREBRALE.

ORRIPILATO E SCONVOLTO, PIERFRANCO EBBE UN BUONO SCATTO DI RIFLESSI: SI ALZÒ IN PIEDI E PIANTÒ IL COLTELLO NEL TENTACOLO CHE AVEVA APPENA PERFORATO SUA MOGLIE.

GREGGIO EMISE UN LATRATO SINISTRO, MA CON UN ALTRO TENTACOLO AVVINGHIÒ L’UOMO IN UNA MORSA LETALE: TALMENTE FORTE FU LA PRESSIONE CHE GLI OCCHI DI PIERFRANCO SCOPPIARONO FUORI DALLE ORBITE, SEGUITI DA DUE POTENTI GETTI DI SANGUE.

“MI CHIEDI PERCHÉ, FABIO? MA NON TI VEDI? LÌ, SORRIDENTE NEL TUO SALOTTINO DEL CAZZO: HO SEMPRE ODIATO LA TUA NORMALITÀ. VOLEVO QUALCOSA DI PIÙ DI TUTTI GLI ALTRI, VOLEVO QUALCOSA DI PROFONDO E DI ANTICO: ERA QUESTO CHE PERTUGI CI AVEVA INSEGNATO.”

“NON PUOI SAPERE QUELLO CHE VOLEVA PERTUGI, GIANMAURO…”

“E INVECE LO SO, FABIO. PER ANNI, DECENNI, HO STUDIATO LE SUE CARTE. SAPEVA CHE C’ERA QUALCOSA DI PIÙ A QUESTO MONDO: UNA FORZA IN GRADO DI PURIFICARE L’UMANITÀ… DI DARCI LA POSSIBILITÀ DI UN NUOVO INIZIO.”

ALLUNGAI UNA MANO VERSO IL COLTELLO, MA SENTII IL TENTACOLO DI GREGGIO AFFERRARMI, AVVOLGERMI E SOLLEVARMI IN ARIA.

MI GUARDAI ATTORNO: ANCHE PIERGIORGIO ERA PRIGIONIERO DELLE SPIRE.

“ASCOLTA IL TUO AMICO: NON SIAMO POI COSÌ DIVERSI, TU ED IO,” GORGOGLIÒ GREGGIO, “SE TI UNISCI A ME VOLONTARIAMENTE, FABIO, LA COMBINAZIONE DEI NOSTRI POTERI TELEVISIVI NON AVRÀ OSTACOLI: ESTENDEREMO IL NOSTRO DOMINIO SULLE NAZIONI, RENDEREMO GLI UOMINI SCHIAVI, E I FIGLI DEGLI UOMINI NUTRIRANNO IL MIO DESIDERIO DI SEME NEI SECOLI, FINO ALLA FINE DEI TEMPI… E TU SARAI AL MIO FIANCO, SIGNORE E SOVRANO DI TUTTE LE FREQUENZE… NOI DUE, SOLI…”

“EHI, QUESTO NON ERA QUELLO CHE AVEVAMO PATTUITO!” ESCLAMÒ GIANMAURO.

UN TENTACOLO LO AVVILUPPÒ IN FRETTA, ZITTENDOLO.

“HO CAMBIATO IDEA”, REPLICÒ GREGGIO, “PREGA CHE NON LA CAMBI UN’ALTRA VOLTA… ALLORA FABIO… CHE NE DICI DELLA MIA OFFERTA?”

LA SUA PRESA SI ERA FATTA ANCORA PIÙ STRETTA.

“MI DISPIACE EZIO… MA HO FATTO LA MIA SCELTA MOLTO TEMPO FA… E HO SCELTO LA RAI…”

IL GIGANTESCO MOSCARDINO GRUGNÌ INFASTIDITO: “E COSÌ SIA FABIO… DEL RESTO UN PO’ CI SPERAVO IN FONDO… COSÌ FINALMENTE AVRÒ IL TUO DELIZIOSO SQUACQUERONE…”

SENTII CHE LE MIE OSSA COMINCIAVANO A SCRICCHIOLARE, STRITOLATE DALLE SPIRE: ERA LA FINE.

POI, PROPRIO MENTRE STAVO PERDENDO I SENSI, UDII UNA VOCE ALZARSI FLEBILE NELLA SALA, UNA VOCE CHE RIPETEVA DI CONTINUO LA STESSA PAROLA, ED OGNI VOLTA CHE LA PAROLA VENIVA RIPETUTA, LA PRESA DELLE SPIRE SI ALLENTAVA. NON CAPII CHE PAROLA FOSSE, NON SEMBRAVA APPARTENERE AD ALCUN LINGUAGGIO UMANO, MA RICONOBBI CHI LA STAVA PRONUNCIANDO: ERA GIANMAURO.

IL TENTACOLO MI LASCIÒ CADERE A TERRA: VIDI L’EMPIO MOSCARDINO STRISCIARE VIA, PASSANDO DALLA FINESTRA E SUPERANDO LA SIEPE, PER DILEGUARSI NEL BUIO DELLA CAMPAGNA LIGURE.

AIUTAI PIERGIORGIO AD ALZARSI, E CORREMMO DA GIANMAURO. SEMBRAVA RIDOTTO MALE: AVEVA LA GABBIA TORACICA FRACASSATA, E STAVA SPUTANDO SANGUE.

“STAI FERMO, GIANMAURO. TI CHIAMIAMO UN’AMBULANZA…”

“SONO STATO UN INGENUO… UN INGENUO, FABIO”, MORMORÒ CON UN FILO DI VOCE.

“NON TI PREOCCUPARE, AMICO MIO, TUTTO È PERDONATO. CI HAI SALVATI…”

“SÌ, MA COME AVRÀ FATTO?” SUSSURRÒ PIERGIORGIO.

“HO PRONUNCIATO IL SUO NOME NELL’ANTICA LINGUA DI MEDIASET… È UNA COSA CHE DETESTA…” RANTOLÒ GIANMAURO, AGGRAPPANDOSI ALLA MIA CAMICIA, “FABIO… MI DISPIACE… MI DISPIACE TANTO…”

VIDI I SUOI OCCHI SPEGNERSI, E GLI ABBASSAI LE PALPEBRE.

PREPARAMMO UNA PIRA NEL GIARDINO DELLA CASA: MENTRE IL CORPO DI GIANMAURO BRUCIAVA, E IL SUO SPIRITO RAGGIUNGEVA GLI ANTENATI, MI INTERROGAVO SU QUEL MALE ANTICO CHE LO AVEVA TENUTO SCHIAVO PER COSÌ TANTI ANNI.

E NON POTEI FARE A MENO DI CHIEDERMI: ERA PER DEBOLEZZA CHE AVEVA CEDUTO ALLA TENTAZIONE DELLE TENEBRE, O PER SCELTA?